
Dopo settimane di annunci, proclami e smentite, lunedì 6 ottobre in Egitto prenderanno il via i primi colloqui indiretti tra Israele e Hamas per discutere del cosiddetto piano Trump su Gaza. L’incontro, mediato dal Cairo, rappresenta un passaggio decisivo dopo mesi di trattative informali e pressioni internazionali. L’obiettivo è duplice: il rilascio degli ostaggi e la costruzione di una cornice politica stabile per il futuro della Striscia.
A guidare la delegazione israeliana saranno il ministro degli Affari strategici Ron Dermer, l’inviato per la trattativa sugli ostaggi Gal Hirsch, il rappresentante delle IDF Nitzan Alon, un vice direttore dello Shin Bet e alcuni funzionari del Mossad e della difesa. Per gli Stati Uniti parteciperanno l’inviato Steve Witkoff e Jared Kushner, genero del presidente Donald Trump.
Le mosse di Hamas e le priorità del negoziato
Dalla parte palestinese, il ruolo chiave sarà affidato a Khalil Al-Hayya, alto funzionario di Hamas, che guiderà una delegazione divisa in due gruppi: uno per i colloqui indiretti con Israele sugli ostaggi e sul cessate il fuoco, l’altro per un confronto intra-palestinese sul tema dell’unità nazionale. I negoziatori, partiti da Doha, raggiungeranno Sharm el-Sheikh via Il Cairo.
Il tema principale resterà il rilascio degli ostaggi. Secondo fonti vicine alla trattativa, Hamas sarebbe “molto desideroso di raggiungere un accordo per porre fine alla guerra e avviare immediatamente il processo di scambio di prigionieri”. La bozza prevede la liberazione di 250 detenuti palestinesi in cambio del ritiro graduale delle forze israeliane da Gaza. Tra i nomi richiesti dal gruppo figurano Marwan Barghouti, Ahmad Saadat e Abdullah Barghouti, figure simboliche del movimento nazionale palestinese.
Il contesto politico e il ruolo di Trump
Nei giorni scorsi, i vertici israeliani hanno dato istruzioni all’esercito di ridurre le operazioni militari a Gaza City, un segnale interpretato come volontà di distensione. Ma Benjamin Netanyahu resta sotto forte pressione: da un lato la necessità di un risultato diplomatico, dall’altro le minacce dei ministri di estrema destra Ben Gvir e Smotrich, che chiedono il disarmo di Hamas e minacciano la rottura della coalizione se non riprenderà la guerra. Il premier ha commentato che “tutto dipende da Hamas”, pur aggiungendo che in caso di fallimento “Israele avrà il sostegno di Trump per un’azione decisa”.
Da parte sua, Hamas porrà come condizioni minime un cessate il fuoco completo per tutta la durata dei colloqui, il ritiro delle IDF dalle aree popolate e la sospensione dei raid aerei per almeno dieci ore al giorno. Secondo indiscrezioni dei servizi egiziani, le delegazioni saranno ospitate nello stesso edificio, ma separate, con rigide misure di sicurezza e assoluta riservatezza sugli spostamenti.
Il presidente Trump ha ribadito che il suo è “un grande affare per Israele”, ma ha ammesso che “ci saranno sempre dei cambiamenti”. “Le trattative sono in corso proprio ora – ha dichiarato – e la gente ne è molto contenta”. Il piano, articolato in venti punti, resta la base di un negoziato che, per la prima volta dopo anni, sembra avere una reale possibilità di mettere fine al conflitto più lungo e incandescente del Medio Oriente.