
La chiamano la seconda ondata e la sua traversata è già carica di rischi e intenzioni chiare. Dal ponte della Conscience, ammiraglia della nuova flotilla, il portavoce per l’Italia Vincenzo Fullone descrive la missione come il tentativo di portare un ospedale galleggiante e una tonnellata di farmaci dove servono. In navigazione ci sono nove imbarcazioni partite dall’Italia, con persone e volontari decisi a rompere l’assedio e a consegnare non solo beni ma anche competenze professionali. Tra i presenti si contano medici, infermieri, soccorritori e giornalisti, figure indicate come indispensabili per sostenere le strutture sanitarie e l’informazione nella Striscia. La preoccupazione principale, spiegano gli organizzatori, non è tanto l’arresto quanto il non riuscire ad arrivare a destinazione, perché da Gaza continuano ad arrivare richieste disperate di aiuto.
La rotta e le difficoltà in mare

La rotta della spedizione è stata segnata da difficoltà già in mare aperto e da condizioni meteo avverse che hanno danneggiato due delle imbarcazioni italiane, la Al Awda e la Ghassan Kanafani. Nonostante i danni subiti da queste unità minori, le altre navi hanno proseguito la navigazione determinate a raggiungere la zona di rischio e a portare supporto. Fullone ricorda che alcuni membri dell’equipaggio hanno già esperienza nella Striscia e conoscono i rischi del viaggio, avendo vissuto o lavorato a Gaza in passato. Non è stato aggiunto altro sulle modalità operative della traversata, ma dagli interventi pubblici emerge la volontà di non arrendersi alle restrizioni. Gli organizzatori ribadiscono che la missione ha anche un valore simbolico oltre che pratico: tenere alta l’attenzione internazionale sulla crisi.
Obiettivo umanitario e professionale
La Conscience, ex traghetto trasformato in nave-ospedale, guida la flotta con circa 120 persone a bordo e una novantina di medici provenienti da vari Paesi, tutti pronti a mettere le proprie competenze a disposizione della popolazione di Gaza. La nave porta con sé attrezzature e personale pensati per fornire assistenza sanitaria immediata, mentre dietro procedono altre otto imbarcazioni che, secondo gli organizzatori, raccontano anche la storia e la cultura palestinese. La cronaca della partenza non si dilunga su ipotesi operative o piani di approdo, ma sottolinea la determinazione dei partecipanti a fornire un cambio al personale medico locale che da troppo tempo lavora senza sosta.
Tra gli italiani a bordo sono elencati sei volontari, tra cui due medici, Riccardo e Francesco, un infermiere, Stefano, Elisabeth, pedagogista esperta in recupero dal trauma, e Claudio, monaco buddhista. Tutti partiti con il proposito di mettere professionalità e braccia a disposizione del popolo palestinese o semplicemente di dare supporto a chi resiste ogni giorno alla devastazione della guerra.
“Andremo fino in fondo”
La dinamica della spedizione e le testimonianze raccolte a bordo mettono in luce come l’azione sia concepita non solo come brigata di soccorso ma anche come segnale politico e umanitario. I medici in contatto con Gaza descrivono una situazione di esaurimento e chiedono supporti concreti, mentre i giornalisti a bordo vengono considerati essenziali per mantenere aperto uno sguardo esterno sulla crisi. “Da Gaza i medici ci chiedono disperatamente un cambio – racconta Fullone – è da due anni che non si fermano, uno di loro ieri mi ha detto: non riesco a prendere un giorno e devo ancora seppellire la mia famiglia”.
Gli organizzatori ripetono che il loro timore principale resta quello di non riuscire a consegnare il materiale e le professionalità che dichiarano di avere a disposizione. La narrazione raccolta dal ponte della Conscience evita toni sensazionalistici e si concentra sulle esigenze pratiche: medicinali, personale sanitario e la possibilità di assicurare copertura mediatica indipendente. I partecipanti chiudono con un appello implicito al riconoscimento del valore umanitario della missione e alla necessità che il mondo continui a guardare verso Gaza.