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No, quella di ieri non era una manifestazione pacifica. E gli scontri non c’entrano nulla

Pubblicato: 05/10/2025 11:07

C’è un punto da cui non si può più svicolare. E non è quello degli scontri con la polizia, né quello degli slogan più accesi o delle vetrine danneggiate. È lo striscione. Quello nero, enorme, quasi in testa al corteo, con scritto a chiare lettere: “7 ottobre, giornata della Resistenza palestinese”. Nessuno lo ha contestato, nessuno si è allontanato, nessuno lo ha rimosso. Era lì, visibile, e ha sfilato fino alla fine. È da quel dettaglio – e solo da quello – che bisogna partire per capire cosa sia stata davvero la manifestazione di ieri.

Uno striscione che parla da solo

Si può discutere di ordine pubblico, si può condannare la violenza e pretendere responsabilità da chi guida i cortei, ma il problema vero è un altro: l’assenza di una presa di distanza chiara e immediata da uno slogan che glorifica il 7 ottobre, il giorno dell’attacco terroristico di Hamas, del massacro di civili, delle stragi nei kibbutz, dei bambini sequestrati e delle famiglie bruciate vive. In qualunque democrazia europea, uno striscione del genere sarebbe stato rimosso all’istante. In Italia invece è passato come una bandiera tra le altre, quasi fosse un semplice segno di solidarietà. E questo silenzio collettivo, questa tolleranza dell’intollerabile, pesa più di qualsiasi carica o manganello.

La memoria corta è il grande alibi del nostro tempo. A distanza di un solo anno, c’è chi riesce già a confondere terrorismo e resistenza, a piegare la storia a convenienza ideologica, trasformando il sangue in slogan. È in questo spazio di ambiguità che si nasconde il fallimento morale di una parte del Paese, quella che riesce a indignarsi per la reazione israeliana ma tace davanti a un simbolo che celebra la violenza come strumento politico.

Il silenzio complice

Il punto non è la piazza in sé, ma il silenzio. Nessuno dei leader sindacali o politici che hanno parlato dal palco ha sentito il bisogno di dire apertamente che quella frase era inaccettabile. Nessuno ha avuto il coraggio di dire che il 7 ottobre non è resistenza, è terrorismo. Tutti hanno preferito concentrarsi su altro: la pace, la libertà dei popoli, i diritti, il cessate il fuoco. Parole che valgono sempre, ma che diventano ipocrite se pronunciate sotto un manifesto che celebra una giornata di sangue.

Certo, qualcuno dirà che non si può giudicare un intero corteo per uno striscione. Ma è un alibi che non regge. Perché quello striscione non era ai margini, non era un’iniziativa isolata di estremisti. Era quasi in testa al corteo, portato con orgoglio e lasciato sfilare per ore. E il fatto che nessuno abbia sentito il bisogno di prendere le distanze – né dal palco né nei comunicati del giorno dopo – dimostra che il confine tra solidarietà e apologia si è ormai dissolto.

E allora sì, la dichiarazione dell’ambasciatore israeliano in Italia, secondo cui “chi giustifica il 7 ottobre sostiene Hamas”, può sembrare dura, ma fotografa con precisione l’ambiguità che aleggia da troppo tempo. Perché quella manifestazione, per come si è svolta, non è stata pacifica: è stata politicamente violenta, nella misura in cui ha normalizzato un simbolo di odio, cancellando la memoria delle vittime e spacciando la brutalità per coraggio. Gli scontri con la polizia – pur gravi – sono quasi un dettaglio rispetto al messaggio che quella piazza ha voluto mandare.

Il diritto di manifestare è sacro, ma non può trasformarsi nel diritto di glorificare un attentato. Chi scende in piazza per la pace e sfila sotto una bandiera che santifica un massacro tradisce il senso stesso della parola “pace”. È una contraddizione che inquina tutto: il linguaggio, le intenzioni, perfino la pietà. Eppure, in Italia, nessuno sembra volerlo dire con chiarezza.

Nessuna pace può nascere da una menzogna morale. E ieri, in Italia, quella menzogna ha sfilato a volto scoperto, senza che quasi nessuno se ne accorgesse. E forse il vero scandalo non è lo striscione in sé, ma l’indifferenza con cui è stato accettato. Perché quando il male smette di provocare vergogna, comincia davvero a vincere.

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