
I rapimenti di massa del 7 ottobre 2024 a Gaza rappresentano il punto di non ritorno del conflitto israelo-palestinese, come abbiamo raccontato più volte qui su The Social Post, anche nell’intervista esclusiva alla portavoce dell’ambasciata di Israele in Italia, Inbal Natan gabay. All’alba di quel giorno, centinaia di miliziani di Hamas hanno oltrepassato la barriera di confine, dando il via a un’offensiva senza precedenti contro il sud di Israele. Nei kibbutz e nelle basi militari, gli attacchi hanno lasciato dietro di sé oltre 1.100 morti e circa 250 persone rapite, tra civili e soldati, trascinate a Gaza.
Molti degli ostaggi non torneranno mai a casa: uccisi durante la prigionia o dispersi nel caos dei combattimenti. Quell’azione, definita da Israele un atto terroristico barbarico, ha scatenato la reazione più dura nella storia recente del Paese, portando il governo di Benjamin Netanyahu a dichiarare guerra totale a Hamas e a preparare, oggi, una occupazione militare permanente della Striscia.
7 ottobre 2024, l’attacco di Hamas e la cattura degli ostaggi
L’operazione, denominata da Hamas “Al-Aqsa Flood”, è stata preparata in segreto per mesi. I militanti hanno attaccato undici basi militari e ventidue comunità civili in poche ore, penetrando per oltre venti chilometri in territorio israeliano. Le vittime sono state uccise nelle proprie case o nei rifugi, mentre intere famiglie venivano sequestrate e condotte a Gaza.
Tra gli ostaggi figuravano donne, bambini e anziani. Hamas ha rivendicato il sequestro come “risposta alla profanazione di Al-Aqsa e all’assedio di Gaza”, ma secondo analisti israeliani l’obiettivo era colpire Israele al cuore, generando caos politico e panico nella popolazione.
“È stato un attacco organizzato con precisione militare e motivato da una volontà politica chiara: umiliare Israele di fronte al mondo”, ha scritto Haaretz in un editoriale del giorno successivo.
L’attacco ha scosso l’intera regione, annullando ogni prospettiva di tregua.
La reazione israeliana e lo scoppio della guerra
Il governo israeliano ha reagito dichiarando lo stato di guerra. Nel pomeriggio del 7 ottobre, Israele ha iniziato massicci bombardamenti aerei contro obiettivi di Hamas nella Striscia, mentre il primo ministro Netanyahu prometteva di “distruggere il nemico”.
“Hamas pagherà un prezzo che non ha mai conosciuto prima. Combattiamo per la sopravvivenza del nostro popolo”, ha dichiarato Netanyahu in un discorso televisivo.
Migliaia di riservisti sono stati richiamati, le città del sud evacuate, e in poche ore Gaza è diventata un campo di battaglia a cielo aperto. Israele ha dichiarato di voler eliminare completamente la capacità militare di Hamas e di riportare a casa gli ostaggi “a ogni costo”.
Gaza sotto attacco: la catastrofe umanitaria
Dopo l’attacco, l’aviazione israeliana ha colpito infrastrutture, edifici governativi e quartieri residenziali. In pochi mesi oltre 40.000 palestinesi risultavano uccisi, secondo fonti dell’ONU e del ministero della Sanità di Gaza citate da Al Jazeera.
Ad oggi il bilancio delle vittime ha superato le 65.000 persone, tra cui oltre 18.000 bambini secondo fonti del ministero della salute di Gaza. L’80% della popolazione è stata costretta a lasciare la propria casa, e ampie aree della Striscia risultano inabitabili.
“Le bombe non distinguono tra miliziani e civili. Gaza è diventata un cimitero per i vivi”, ha denunciato Al-Quds Al-Arabi in un commento del dicembre 2024.
Le fonti arabe hanno parlato di una “politica di terra bruciata”, denunciando bombardamenti su ospedali e scuole. Da parte israeliana, Haaretz ha riconosciuto che la guerra “sta cancellando interi quartieri, ma non Hamas”.

Il destino degli ostaggi israeliani
La sorte degli ostaggi israeliani è diventata uno dei capitoli più dolorosi del conflitto. Nei giorni successivi all’attacco, circa 240 persone risultavano detenute a Gaza. Hamas li ha usati come scudo umano e strumento di pressione per chiedere il rilascio di prigionieri palestinesi.
A settembre 2024 l’esercito israeliano ha annunciato di aver recuperato i corpi di sei ostaggi uccisi dai miliziani in un tunnel nei pressi di Rafah. Erano stati rapiti vivi e poi giustiziati poco prima dell’arrivo dei soldati.
“Mia figlia era viva quando l’hanno presa. Non riesco ad accettare che sia stata giustiziata mentre il governo discuteva strategie”, ha raccontato ai media israeliani il padre di una delle vittime.
Le famiglie degli ostaggi hanno organizzato manifestazioni di massa a Tel Aviv, accusando Netanyahu di aver anteposto la guerra al salvataggio dei loro cari. Solo una parte dei prigionieri è stata liberata grazie alla mediazione di Qatar ed Egitto, ma secondo le autorità israeliane almeno 27 ostaggi sono morti in cattività.
“Riportateci i nostri figli. Non vogliamo vittorie militari, vogliamo abbracci vivi”, si leggeva su uno dei cartelli esposti in piazza Habima durante le proteste.
A un anno dai fatti, Israele conta ancora 49 cittadini dispersi o prigionieri a Gaza, simbolo di una ferita nazionale mai rimarginata.
Dalla guerra lampo alla guerra d’attrito
Nel discorso del 10 ottobre 2024, Netanyahu ha fissato tre obiettivi:
- Eliminare Hamas.
- Liberare tutti gli ostaggi.
- Garantire che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele.
Ma dopo un anno di conflitto, nessuno di questi traguardi è stato pienamente raggiunto. Hamas è ancora attiva, la maggior parte degli ostaggi è morta o resta prigioniera, e i razzi continuano a partire dalla Striscia.
Secondo Haaretz, il 56% degli israeliani giudica negativamente la guerra, mentre oltre l’80% degli abitanti del sud non si sente più sicuro.
“Non vediamo più una fine. Ci hanno detto che sarebbe durata settimane, ora sono anni”, ha dichiarato un residente del kibbutz Nahal Oz a Haaretz.
Di fronte allo stallo, il premier ha annunciato l’intenzione di occupare militarmente tutta Gaza, “per eliminare ogni residuo di Hamas e ristabilire il controllo di sicurezza israeliano”.
Una mossa che – secondo Al-Quds Al-Arabi – equivale a “riaprire la porta a una nuova Nakba”.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno espresso preoccupazione per il rischio di occupazione prolungata, ma Netanyahu ha ribadito che Israele “non si fermerà finché Hamas non sarà distrutta”.

Le reazioni internazionali
La comunità internazionale resta divisa. Washington continua a garantire il diritto di Israele a difendersi, ma ha chiesto “moderazione” per ridurre le vittime civili. L’Unione Europea ha espresso “solidarietà a Israele” ma anche “preoccupazione per la crisi umanitaria”.
Dal mondo arabo sono arrivate condanne unanimi: l’Egitto ha avvertito che un’occupazione permanente di Gaza sarebbe “inaccettabile”, mentre la Giordania ha ritirato temporaneamente il proprio ambasciatore.
“Israele non sta cercando la pace, ma il dominio. E Gaza ne paga il prezzo”, ha dichiarato un analista palestinese a Al Jazeera.
Il segretario generale dell’ONU ha definito la situazione “una catastrofe umanitaria senza precedenti nel XXI secolo”.
“Il 7 ottobre ha cambiato la storia”. In peggio.
Il rapimento di cittadini israeliani il 7 ottobre 2024 è stato la miccia di una spirale di violenza senza precedenti.
Israele ha risposto con la forza, ma il conflitto è ormai degenerato in una guerra totale, con migliaia di morti e una Gaza ridotta in macerie.
Le voci indipendenti israeliane e arabe concordano: quella giornata ha cambiato per sempre la regione. Israele rivendica il diritto a difendersi; il mondo arabo denuncia la disproporzione della risposta.
“Il 7 ottobre ha cambiato la storia, ma non ha portato sicurezza a nessuno”, ha scritto un commentatore di Haaretz.
A due anni dai fatti, la guerra continua, gli ostaggi non sono stati liberati tutti e Gaza resta al centro della più grave crisi mediorientale degli ultimi decenni.
Fonti: Haaretz, Al-Quds Al-Arabi, Al Jazeera, The Times of Israel.