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Accadde oggi. Auschwitz e la rivolta dei dannati

Pubblicato: 06/10/2025 21:32

La rivolta della disperazione

Il 7 ottobre 1944, ad Auschwitz, il più grande mattatoio che la follia del Novecento abbia allestito, avvenne qualcosa che oggi pare incredibile. Non per la portata militare, che fu minima, ma per il valore morale, smisurato. I prigionieri ebrei del Sonderkommando, coloro che i nazisti costringevano all’orrenda mansione di raccogliere i cadaveri dalle camere a gas e alimentare i forni crematori, decisero che la loro fine non sarebbe stata soltanto quella di vittime mute. Sapevano bene quale fosse il loro destino: nessuno di loro sarebbe sopravvissuto più di qualche mese, perché troppo compromessi con i segreti del lager. E proprio per questo, in un sussulto di dignità, scelsero la via impossibile della rivolta. Non avevano armi, non avevano alleati, non avevano speranza. Ma avevano ancora, in fondo all’abisso, la coscienza di uomini.

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Le armi della disperazione

La rivolta non nacque dal nulla. Già da tempo, mentre l’Armata Rossa si avvicinava alla Polonia, i tedeschi si affannavano a cancellare le prove del loro crimine, demolendo forni e camere a gas. I prigionieri, allora, tentarono l’unico atto che potesse opporsi a questa macabra contabilità. Attraverso contatti clandestini con la resistenza polacca esterna, riuscirono a procurarsi un pugno di esplosivi, che furono introdotti e nascosti nel campo con astuzia e pazienza. Il resto fu improvvisazione: asce, coltelli, pietre, qualsiasi oggetto potesse trasformarsi in arma. Quando il giorno arrivò, gli uomini del Sonderkommando si lanciarono contro le guardie. Tre tedeschi caddero sotto i loro colpi, e un crematorio – il numero IV – saltò in aria. Non fu che un boato, presto soffocato dal piombo e dal fuoco delle SS. La rivolta fu schiacciata in poche ore. Centinaia di prigionieri furono trucidati all’istante.

La memoria della disperazione

Che cosa rimane di quel gesto, così breve, così disperato? Rimane la certezza che, anche nella notte più nera, un uomo può dire di no. Non mutò il corso della guerra, non accelerò la fine di Auschwitz, non salvò una sola vita. Ma restituì un senso alla parola dignità, lì dove tutto era stato calcolato per cancellarla. Si può dire, con un cinismo che la Storia spesso impone, che la rivolta fu inutile. Ma la Storia non è soltanto contabilità di vincitori e vinti: è anche la misura dell’animo umano. E il 7 ottobre 1944, nel cuore stesso del lager, tra i fumi e le ceneri di milioni di innocenti, un manipolo di uomini ridotti a ombre ebbe il coraggio di alzare la testa. Se oggi ricordiamo Auschwitz come l’emblema della disumanità, non possiamo dimenticare che anche lì, all’ultimo istante, la libertà seppe trovare la sua voce, pur sapendo di essere condannata al silenzio subito dopo.

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