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Accadde oggi. Il Moulin Rouge e la notte che cambiò per sempre Parigi!

Pubblicato: 06/10/2025 09:18

Il 6 ottobre 1889, in un angolo di Parigi che allora si chiamava Pigalle e che non aveva mai avuto la vocazione della rispettabilità, apriva i battenti un locale destinato a diventare leggenda: il Moulin Rouge. Un mulino a vento dipinto di rosso, con le pale illuminate e un’insegna che non ammetteva equivoci. Era il biglietto da visita di un’epoca che passerà alla storia col nome, frivolo e ingannevole quanto si vuole, di Belle Époque. Perché, frivola, lo fu davvero. E ingannevole pure. Ma intanto rappresentò per la Francia, e non soltanto per lei, una parentesi di leggerezza dopo i dolori e le umiliazioni della guerra franco-prussiana. Quel conflitto, ultimo lampo guerresco del secolo XIX in Europa, aveva lasciato dietro di sé un Paese ferito e un popolo che, per non pensare, cercava altrove consolazioni. Le trovò nella risata sguaiata, nel bicchiere colmo, nel corpo femminile messo in mostra.

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Can-can e illusioni

Il Moulin Rouge nacque per questo: per offrire un palcoscenico a quella voglia di vivere. I suoi creatori, Joseph Oller e Charles Zidler, ebbero l’intuizione di mescolare la volgarità con il sogno, la risata con l’ebbrezza, e di impacchettare il tutto in una confezione abbastanza elegante da non scandalizzare troppo la buona società, che in segreto non aspettava altro. Le signore della borghesia si indignavano in salotto, ma i loro mariti prendevano posto tra i tavolini del locale, ordinavano champagne e applaudivano le ballerine del can-can, le gonne sollevate e i calzini a righe che divennero simbolo di una liberazione tanto ostentata quanto fittizia. Era un teatro, certo. Ma anche molto più di un teatro: una dichiarazione d’intenti. La Francia, pur sconfitta sul campo di battaglia, voleva mostrarsi ancora capace di dettare il tono al resto d’Europa.

La vetrina della Belle Époque

Gli artisti dell’epoca lo capirono subito. Toulouse-Lautrec ne fece il suo laboratorio, immortalando su carta e tela i volti stanchi e truccati delle ballerine, i clienti ingobbiti sui bicchieri, il turbinio di gambe e di gonne. Non erano quadri indulgenti: erano spietati. Ma proprio in quella spietatezza c’era il segreto del fascino. Perché la Belle Époque, a guardarla bene, non fu altro che una lunga illusione, un’ombra di leggerezza stesa sopra un’Europa che, di lì a poco, sarebbe precipitata nella catastrofe del Novecento. Eppure, nonostante le contraddizioni, il Moulin Rouge rimane il simbolo più fedele di quegli anni: la voglia di dimenticare, l’ansia di divertirsi, la sensualità ostentata e la malinconia nascosta. Se ancora oggi, passando da Pigalle, si alzano gli occhi a quel mulino rosso che gira e non macina nulla, non si può fare a meno di riconoscere che, per un attimo, la vita si fermò lì: tra le luci, la musica e le gambe in volo delle ballerine, per poi riprendere, fatalmente, tra le trincee della Grande Guerra.

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