
La vicenda della spedizione umanitaria diretta a Gaza e bloccata dalle forze israeliane si arricchisce di un alone di mistero e di gravi interrogativi riguardo alle modalità degli attacchi subiti dalle imbarcazioni. Le aggressioni, avvenute prima nelle acque tunisine e poi in quelle greche, sono state condotte tramite droni che hanno sganciato ordigni classificati come “non letali” ma nondimeno molto pericolosi: in particolare, granate stordenti, urticanti e, soprattutto, incendiarie.
Tali azioni hanno sollevato una vasta eco internazionale e hanno messo in luce una dinamica operativa che, se confermata, delineerebbe un intervento militare di notevole portata e complessità. Tuttavia, l’aspetto che merita il maggiore approfondimento, e che getta un’ombra inquietante sull’intera operazione, è la rivelazione del canale televisivo statunitense Cbs.
Le presunte incursioni del sottomarino israeliano
Secondo quanto riportato dalla Cbs, che ha citato due fonti anonime appartenenti all’intelligence americana, le incursioni avvenute l’8 e 9 novembre davanti al porto tunisino di Sidi Bou Said sarebbero state condotte da un sottomarino israeliano. La notizia è di per sé esplosiva, poiché implica un’azione militare diretta e mirata in acque internazionali o comunque distanti dal teatro di conflitto primario, e suggerisce che l’operazione non fosse semplicemente un’iniziativa isolata. A rendere la rivelazione ancora più significativa è il fatto che le stesse fonti avrebbero affermato che l’attacco sarebbe avvenuto con la diretta approvazione del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Ciò sposterebbe la responsabilità dell’aggressione dal livello tattico a quello strategico-politico di vertice.
Al momento, purtroppo, non risulta che siano state avviate iniziative legali formali per accertare in modo definitivo la responsabilità di queste aggressioni, un silenzio investigativo che contribuisce ad alimentare i dubbi. È fondamentale notare come le rivelazioni della Cbs non siano state smentite dalle autorità statunitensi, e come quelle israeliane abbiano scelto di non rispondere alla richiesta di commento del canale televisivo, un comportamento che molti analisti interpretano come un tacito riconoscimento o quantomeno come un’indicazione di estrema sensibilità della questione.
La flotta sottomarina dello stato ebraico
Per comprendere la plausibilità di un’operazione condotta da un sottomarino, è necessario esaminare le capacità della Marina dello Stato ebraico. Essa dispone di una flotta di sei sottomarini appartenenti alla classe “Dolphin”. Questi battelli rappresentano l’élite tecnologica e strategica della Marina israeliana. Sono stati costruiti in Germania dalla ThyssenKrupp e, dato il loro valore strategico per la sicurezza di Israele, sono stati in gran parte finanziati dal governo tedesco.
Non si tratta di sottomarini a propulsione nucleare, ma di battelli a propulsione convenzionale (diesel-elettrica), derivati dal celebre modello U209, ma con numerose modifiche apportate specificamente su richiesta israeliana. Le modifiche più rilevanti li rendono capaci di lanciare missili a lungo raggio, e secondo quanto ampiamente speculato, questi missili sarebbero potenzialmente dotati di testata nucleare, conferendo a Israele una capacità di secondo colpo fondamentale per la sua dottrina di deterrenza. Dal punto di vista operativo, il loro raggio di azione è tale da permettere loro di raggiungere qualsiasi località del Mediterraneo restando in immersione per lunghi periodi.
Il “Drakon” e la tecnologia dei droni
Un aspetto particolarmente intrigante e che si lega direttamente all’attacco con droni è il potenziale tecnologico dell’ultimo sottomarino della classe, il “Drakon”. Diversi analisti del settore della difesa sostengono che il “Drakon” possa disporre di una sezione speciale concepita appositamente per l’impiego di droni volanti. All’epoca dell’incidente, lo scorso agosto, il battello era ancora in Germania per completare i test, rendendo non chiaro se fosse già diventato pienamente operativo e, di conseguenza, se potesse essere il sottomarino coinvolto.
Tuttavia, l’impiego di quadricotteri lanciagranate non richiede necessariamente l’utilizzo di una piattaforma specializzata come il “Drakon”. Questi droni sono già ampiamente adottati da molti reparti delle Israel Defense Forces (Idf) e sono stati utilizzati in modo estensivo durante la campagna militare nella Striscia di Gaza con munizioni dello stesso tipo di quelle filmate negli episodi davanti a Sidi Bou Said e nei porti cretesi. Un sottomarino, pur non essendo una piattaforma ottimale per il lancio di droni, può certamente emergere e utilizzare un equipaggiamento standard per lanciare e pilotare i quadricotteri, sebbene con le complicazioni che vedremo.
I dubbi sull’operazione e la sorveglianza nel Mediterraneo
Nonostante la capacità operativa dei “Dolphin”, l’ipotesi di un loro coinvolgimento solleva una serie di dubbi significativi legati alla sicurezza e alla sorveglianza marittima. I sottomarini di questa classe, pur essendo eccellenti mezzi subacquei, devono emergere per poter lanciare e pilotare i droni volanti e, soprattutto, generare onde radio per il loro controllo. Questo tipo di attività lascia una traccia che può essere potenzialmente rilevata da aerei di pattugliamento marittimo e navi militari dotate di sistemi di guerra elettronica avanzati.
Il Canale di Sicilia, che un sottomarino israeliano avrebbe presumibilmente attraversato per raggiungere le coste tunisine, è un’area di mare strettamente sorvegliata dalla primavera del 2022. La crescente attenzione è dovuta al desiderio di monitorare le iniziative sopra e sotto le onde della flotta russa, in particolare le unità della missione italiana “Mare Sicuro”, quelle della Nato che pattugliano regolarmente il Mediterraneo, e i velivoli Poseidon dell’Us Navy. Questi ultimi, in particolare, operano dalla base siciliana di Sigonella e dedicano grande attenzione alla sorveglianza delle coste del Nord Africa.
La domanda cruciale è: come è possibile che questa triplice vigilanza — italiana, Nato e statunitense — non abbia rilevato l’emersione e le emissioni radio di un sottomarino israeliano in un’area così sensibile?
Le contromisure elettroniche come possibile spiegazione
Una possibile spiegazione risiede nella natura stessa dei sottomarini “Dolphin” e nell’eccellenza tecnologica delle loro dotazioni. I “Dolphin” hanno un profilo acustico molto simile ai sottomarini russi della classe “Kilo”, noti come “l’incubo delle marine occidentali” per la loro capacità di essere estremamente silenziosi durante la navigazione subacquea. Questo renderebbe il loro rilevamento passivo da parte di sonar molto più difficile.
Inoltre, i tecnici dello Stato ebraico sono universalmente riconosciuti come maestri nelle contromisure elettroniche (Electronic Countermeasures, ECM). Si tratta di sistemi sofisticati progettati per disturbare radar e comunicazioni, rendendo l’identificazione di un’unità navale o subacquea estremamente complessa. Questa consapevolezza di superiorità tecnologica potrebbe aver indotto l’equipaggio del sottomarino e i suoi comandanti a ritenere di poter operare con un margine di rischio accettabile.
Non è la prima volta, si sottolinea, che proprio questa confidenza nelle ECM abbia in passato fatto commettere agli equipaggi israeliani qualche passo falso in termini di discrezione. Ed è proprio in questi potenziali errori di manovra, nelle tracce radio non completamente cancellate o negli indizi lasciati da una breve emersione, che potrebbe risiedere la pista investigativa necessaria per verificare se le rivelazioni della Cbs siano effettivamente fondate. L’intera vicenda resta un caso aperto che evidenzia la crescente complessità e l’uso di tattiche non convenzionali nel moderno teatro marittimo del Mediterraneo.