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Manifestazioni pro-Pal, Landini accusa il governo Meloni: “Dati falsi”

Pubblicato: 06/10/2025 10:34
manifestazioni pro Pal Landini

La polemica sui numeri delle manifestazioni pro Palestina si accende e prende una piega politica sempre più netta. A infiammare il dibattito è il segretario della Cgil, Maurizio Landini, che in una lunga intervista al Corriere della Sera ha contestato duramente le stime ufficiali diffuse dal governo Meloni, accusando apertamente l’esecutivo di falsificare i dati relativi alla partecipazione.
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Secondo il Viminale, sarebbero stati meno di 500mila i cittadini scesi in piazza lo scorso fine settimana per sostenere la causa palestinese. Un numero che Landini bolla come “falso” e “ridicolo”, sostenendo che la mobilitazione reale abbia coinvolto “quasi tre milioni di persone” in due giorni, in decine di città italiane. “Far finta di non capire quanto è avvenuto è stupido“, ha dichiarato il leader sindacale, alzando il livello dello scontro istituzionale.

Le sue parole colpiscono direttamente non solo il Ministero dell’Interno, che ha diramato i dati, ma anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, definita responsabile di una gestione “mistificatoria” della realtà. Un attacco politico frontale che segna una nuova frattura tra sindacato e governo su un tema delicato e fortemente simbolico.

Tre milioni o cinquecentomila? Il nodo dei numeri

Non è una novità che gli organizzatori delle manifestazioni tendano a gonfiare i numeri della partecipazione. È prassi consolidata, da sempre, che le stime ufficiali differiscano ampiamente da quelle fornite da chi scende in piazza. Tuttavia, in questo caso, la differenza tra le due versioni è talmente ampia – mezzo milione contro quasi tre milioni – da sollevare dubbi, tensioni e accuse reciproche.

Secondo Landini, le manifestazioni pro Palestina non sono state solo partecipate, ma rappresentano “una mobilitazione straordinaria che segna l’inizio di un nuovo corso”. Il riferimento è anche alla massiccia presenza giovanile, che, a detta del sindacalista, “ricorda quanto già visto in occasione dei referendum”. Un’energia dal basso che, sempre secondo Landini, il governo tenta di minimizzare per motivi politici.

Il governo, però, respinge le accuse. Le stime diffuse dal Viminale, secondo fonti interne, sono frutto di valutazioni tecniche standard, raccolte attraverso i monitoraggi delle questure, e non avrebbero alcuna matrice ideologica. Ma per la Cgil e altri settori della sinistra, la lettura ufficiale appare come un tentativo di svalutare il dissenso.

Landini contro Tajani: “Mai difeso violenti o cretini”

L’intervista rilasciata da Landini al Corriere non si limita a criticare i dati governativi. Il segretario della Cgil entra nel merito anche delle dichiarazioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che nei giorni precedenti aveva definito alcune figure della sinistra come “cattivi maestri“, alludendo a presunti atteggiamenti ambigui nei confronti delle frange radicali presenti alle manifestazioni.

Landini risponde con fermezza: “Noi i violenti e i cretini non li abbiamo mai difesi”, chiarendo che ogni comportamento criminale è stato isolato e respinto anche fisicamente durante i cortei. “Poi giustamente – aggiunge – il lavoro importante lo hanno fatto le forze di polizia”.

Una presa di posizione che mira a difendere la legittimità delle proteste e a distinguere tra chi manifesta pacificamente e chi approfitta delle piazze per creare disordini. È un punto cruciale per il sindacato, che rivendica il carattere pacifico e popolare della mobilitazione, respingendo ogni tentativo di assimilare le manifestazioni a derive estremiste.

Un confronto politico destinato a proseguire

Lo scontro tra Landini e il governo Meloni su questo tema è solo l’ultima tappa di un conflitto politico più ampio, che coinvolge il ruolo del sindacato, la libertà di manifestazione e la narrazione pubblica del dissenso. Dietro la disputa sui numeri si cela un confronto più profondo sulla legittimazione del conflitto sociale e sullo spazio che la politica vuole riconoscere alla mobilitazione collettiva.

La presenza in piazza di milioni – o centinaia di migliaia – di cittadini non è solo una questione statistica, ma un indicatore della temperatura politica del Paese. Che si tratti di solidarietà alla Palestina o di contestazione al governo, è evidente che le manifestazioni rappresentano un canale espressivo centrale, soprattutto in una fase in cui altre forme di rappresentanza sembrano in crisi.

Per questo motivo, la battaglia sui numeri potrebbe proseguire anche nelle prossime settimane, alimentando ulteriori tensioni tra esecutivo e sindacati, ma anche all’interno del dibattito pubblico italiano, sempre più polarizzato tra chi minimizza e chi esaspera, tra chi governa e chi contesta.

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