
Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori palestinesi, ha lasciato lo studio di In Onda su La7 dopo uno scontro acceso sulla questione di Gaza e sull’uso del nome di Liliana Segre nel dibattito.
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A ricostruire la scena è stata la stessa Albanese, in un post pubblicato sui social, dove ha spiegato: “Ho lasciato @InOndaLa7 all’ennesima strumentalizzazione del nome della Sen. Segre per negare il genocidio a Gaza”.
Un messaggio netto, dai toni indignati, che però si incrina poche righe dopo, quando la stessa Albanese aggiunge di aver avvisato in anticipo che sarebbe andata via alle 21. “L’opinionista di turno – scrive – che mi aveva sentito per ben due volte dire che alle 9PM sarei andata via, fa quello che può e sa: caciara”.
Ho lasciato @InOndaLa7 all'ennesima strumentalizzazione del nome della Sen.Segre per negare il genocidio a Gaza.
— Francesca Albanese, UN Special Rapporteur oPt (@FranceskAlbs) October 6, 2025
Ovviamente. l'opinionista di turno-negatore del genocidio (che mi aveva sentito x ben 2 volte dire che alle 9PM sarei andata via), fa quello che può e sa: caciara. https://t.co/9JO0xv8e9B
Due versioni che non si tengono
L’effetto è quello di una contraddizione evidente. Da un lato la Albanese rivendica un gesto politico e morale – abbandonare la trasmissione per protesta – dall’altro ammette che la sua uscita era programmata da prima. Due spiegazioni che si escludono a vicenda e che, sovrapposte, finiscono per indebolire entrambe.
Se davvero l’abbandono dello studio è stato un atto di protesta contro una “strumentalizzazione”, l’indicazione preventiva dell’orario suona come una scappatoia che toglie forza alla denuncia. Se invece si trattava semplicemente di un impegno pregresso, la reazione pubblica e il tono indignato assumono i contorni di una costruzione narrativa per i social, un modo di politicizzare un gesto già previsto.

Il confine tra protesta e comunicazione
Il caso Albanese racconta, più che una polemica televisiva, il paradosso della comunicazione pubblica contemporanea: ogni gesto, anche banale, viene subito reinterpretato in chiave simbolica, spesso per rafforzare la propria posizione ideologica. Nel suo caso, il messaggio voleva probabilmente marcare la distanza da chi “nega il genocidio a Gaza”, ma la precisazione sull’orario ha finito per creare l’effetto opposto, spostando l’attenzione sulla credibilità dell’autrice, non sul contenuto politico.
Una contraddizione che ricorda quanto sia difficile, oggi, distinguere tra protesta autentica e costruzione retorica, tra gesto morale e gesto mediatico. E quanto, nella furia di rivendicare coerenza altrui, basti una riga di troppo per mettere in discussione la propria.