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Centrodestra, la guerra silenziosa tra Salvini e Tajani che può far crollare il governo

Pubblicato: 07/10/2025 15:24

Nel panorama politico italiano, la coalizione di centrodestra, guidata da Giorgia Meloni, presenta una struttura di potere unica e, per certi versi, precaria. Il successo elettorale che l’ha portata alla guida del Paese si fonda su un triangolo di forze – Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – i cui vertici, pur formalmente allineati, mantengono traiettorie individuali e ambizioni di leadership che sfidano la nozione tradizionale di ‘braccio destro’ monolitico.

L’interrogativo su chi tra Matteo Salvini e Antonio Tajani ricopra questo ruolo non è una mera speculazione giornalistica, ma la chiave di volta per comprendere le dinamiche interne e la potenziale fragilità della maggioranza. La verità è che, per la premier, l’assenza di un unico e indiscusso vice-leader è una necessità tattica, ma anche la sua più grande vulnerabilità.

Il dualismo e l’equilibrio delle ambizioni

La leadership di Giorgia Meloni si regge su un precario equilibrio di forze. Matteo Salvini, leader della Lega, incarna una leadership ‘di piazza’ e ha una storia politica che lo pone in diretta competizione con Meloni. La sua ascesa, culminata nello scalzare figure storiche come Umberto Bossi, ne dimostra la volontà di primeggiare e l’innata resistenza a qualsiasi ruolo di subalternità. Per Salvini, essere il ‘braccio destro’ non è un onore, ma una diminuzione del suo status di leader di partito.

Dall’altro lato, Antonio Tajani, erede de facto di Silvio Berlusconi alla guida di Forza Italia, apporta al Governo una profonda esperienza istituzionale e internazionale. Il suo cursus honorum, inclusa la presidenza del Parlamento europeo, gli conferisce un’autorevolezza che trascende le dinamiche partitiche interne. Per Tajani, accettare di essere il mero “sottoposto” di Salvini risulterebbe inaccettabile, non solo per la sua storia personale, ma anche in virtù della differente caratura politica oggettivamente intercorsa con il suo predecessore, Berlusconi, rispetto all’attuale leader leghista. In questo contesto, Meloni non ha un ‘braccio destro’, ma due luogotenenti che, per ragioni diverse, non accetterebbero mai di essere l’uno inferiore all’altro, né di essere visti come semplici esecutori della volontà della premier.

La quiete prima della tempesta e i segnali di rottura

Finché l’azione di governo si svolge in un clima di relativa tranquillità – il “mare calmo” – la coesistenza tra Lega e Forza Italia si mantiene efficiente, grazie anche alla necessità condivisa di portare avanti l’agenda politica e alla ferrea disciplina imposta dalla premier. Tuttavia, è nei momenti di crisi o su temi divisivi che questa complessa architettura manifesta le sue crepe. Il recente episodio del voto sull’immunità di Ilaria Salis ne è un esempio lampante.

L’accusa lanciata da Salvini contro alcuni esponenti del centrodestra di aver ‘tradito’ votando a favore dell’immunità, ha innescato una reazione immediata e decisa da parte di Tajani. Questa non è stata una semplice rettifica, ma una netta presa di distanza e una dimostrazione di forza. Tajani, reduce da risultati elettorali regionali (come in Calabria) che hanno rinforzato il peso specifico di Forza Italia, si sente legittimato a marcare il territorio. Tali episodi rivelano una costante: alla prima occasione utile, ciascuno dei due vice si affretta a riaffermare la propria autonomia politica e la propria parità di rango all’interno della coalizione. Non è solo uno scontro di personalità, ma una battaglia per l’influenza e per il posizionamento futuro dei rispettivi partiti.

Il tallone d’Achille e la strategia dell’opposizione

Il dualismo Salvini-Tajani, lungi dall’essere una mera anomalia, costituisce il tallone d’Achille della maggioranza di Giorgia Meloni. È qui che le forze di opposizione, e in particolare il centrosinistra, devono concentrare la loro strategia di lungo periodo. Lavorare ai fianchi di Tajani e Salvini, non per cooptarli, ma per esacerbare le loro divergenze, è la tattica più promettente per scardinare la tenuta del governo.

L’obiettivo non è minare direttamente la premier, la cui leadership è al momento solidissima, ma frantumare il consenso periferico e istituzionale della coalizione. Temi come le politiche europee (dove Tajani è forte) o le riforme istituzionali (dove Salvini ha una agenda marcata) possono diventare terreni di scontro sui quali le opposizioni possono abilmente soffiare. Se le tensioni tra i due luogotenenti dovessero sfociare in una contrapposizione insanabile su un punto cruciale dell’agenda di governo, la crisi di maggioranza diventerebbe un’eventualità non più remota, ma inevitabile.

In conclusione, il centrodestra italiano non è governato da una leadership con un unico erede designato o un fedele scudiero, ma da una premier che gestisce il potere per interposizione. Questa geometria, se da un lato garantisce a Meloni di non essere mai minacciata da un unico vice troppo forte, dall’altro la costringe a una continua opera di mediazione e al rischio costante di un’implosione dovuta all’ eccesso di ambizione dei suoi due principali alleati. L’abilità con cui Giorgia Meloni continuerà a danzare su questo filo sottile sarà il vero banco di prova della longevità del suo governo.

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