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Il papa difende Parolin, è scontro tra il Vaticano e Israele: “Così si mina il processo di pace”

Pubblicato: 07/10/2025 17:21

“Preferisco non commentare, ma il cardinale ha espresso l’opinione della Santa Sede”. Con queste parole, il Papa Leone ha risposto ai giornalisti che lo attendevano fuori dalla residenza papale di Castel Gandolfo, in riferimento alle recenti tensioni diplomatiche tra il Vaticano e l’ambasciata israeliana presso la Santa Sede. Una dichiarazione breve ma chiara, che conferma il sostegno del Pontefice alla linea tracciata dal Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin.

L’occasione dell’intervento papale è stata la presentazione del suo primo viaggio apostolico, che lo porterà in Turchia e in Libano. Due mete non casuali, ha spiegato Papa Leone, scelte per motivi storici e simbolici: “Andrò in Turchia per i 1700 anni del Concilio di Nicea”, ha detto, “e in Libano per la possibilità di annunciare nuovamente un messaggio di pace in Medio Oriente, in un Paese che ha sofferto tanto”. Il viaggio, ha aggiunto, rappresenta un tentativo di “portare speranza e riconciliazione in una regione ferita”.

Le parole del cardinale Parolin sul conflitto tra Israele e Palestina, pronunciate in una recente intervista, hanno sollevato un’ondata di reazioni. Il Segretario di Stato ha espresso ferma condanna per le operazioni militari israeliane che colpiscono indiscriminatamente anche i civili, sottolineando che “i civili non possono essere considerati danni collaterali”. Un’affermazione che ha incontrato il favore di molti ma anche la ferma reazione diplomatica da parte israeliana.

Parolin ha anche manifestato solidarietà ai manifestanti pro-Palestina che in questi giorni stanno riempiendo le piazze italiane. “Comprendo il dolore e il bisogno di far sentire la propria voce”, ha detto, ribadendo il diritto alla protesta pacifica. La Santa Sede, ha spiegato il cardinale, “non può tacere di fronte al dramma umanitario che si sta consumando a Gaza”. Una posizione netta, in linea con la tradizione diplomatica vaticana ma che, questa volta, ha attirato pesanti critiche.

A rispondere alle dichiarazioni del cardinale è stato l’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, che in una nota ufficiale ha espresso profonda preoccupazione. “L’intervista al cardinale Parolin, seppur ben intenzionata, rischia di minare gli sforzi internazionali per porre fine alla guerra a Gaza e alimentare sentimenti di antisemitismo”, si legge nel comunicato. L’ambasciatore ha accusato Parolin di aver trascurato il “continuo rifiuto di Hamas di rilasciare gli ostaggi o di interrompere la violenza”.

Uno dei punti più critici sollevati dall’ambasciatore riguarda quella che definisce una “problematicità nell’uso dell’equivalenza morale”, secondo lui inopportuna in un contesto così drammatico. “Mettere sullo stesso piano le azioni di uno Stato democratico con quelle di un’organizzazione terroristica non aiuta a comprendere la complessità della situazione né a favorire un dialogo costruttivo”, si legge nella dichiarazione.

Il Vaticano, come da prassi, ha evitato ulteriori polemiche dirette. Ma la frase del Papa, “il cardinale ha parlato a nome della Santa Sede”, ha il peso di un’ufficializzazione. Nessuna smentita, nessun passo indietro. Una linea diplomatica sottile ma determinata, che conferma la volontà del Pontefice di non lasciare inascoltata la sofferenza della popolazione civile in Palestina.

La tensione tra Israele e il Vaticano non è nuova, ma questa nuova frizione arriva in un momento di particolare delicatezza per la regione mediorientale. Le parole del Papa e del cardinale Parolin si inseriscono in un quadro di mediazione umanitaria, in cui la Chiesa vuole mantenere un ruolo super partes ma non neutrale, schierandosi apertamente contro ogni violenza sui civili.

Mentre cresce l’attesa per il viaggio papale in Turchia e Libano, resta alta l’attenzione sul ruolo che la Santa Sede potrà giocare nella crisi mediorientale. Papa Leone, con il suo messaggio di “pace e speranza”, si prepara a portare la sua voce in due luoghi simbolo del dialogo interreligioso, nella speranza che le parole possano ancora valere quanto – se non più – delle armi.

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