
In una delle fasi più oscure della pandemia da Covid-19, mentre il mondo lottava contro un virus sconosciuto e devastante, migliaia di famiglie si sono trovate a dover affrontare il dolore più difficile: perdere una persona cara senza potergli dire addio. È stato un tempo in cui il lutto è diventato silenzioso, separato, negato. Per molti, il ricordo non è solo quello dell’assenza, ma del vuoto lasciato da un commiato mancato, da una mano non stretta, da uno sguardo non incrociato per l’ultima volta.
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In quel tempo sospeso tra la paura e l’isolamento, le strutture sanitarie si sono trovate a bilanciare necessità contrastanti: proteggere i più fragili, applicare rigide restrizioni sanitarie, ma anche garantire una minima umanità negli ultimi momenti della vita. Non sempre ci sono riuscite. E ora, a distanza di anni, la giustizia comincia a riflettere su quelle scelte, su quei silenzi, su quelle porte chiuse che hanno segnato profondamente l’esperienza di migliaia di italiani.
Il tribunale di Novara riconosce il “danno da mancato commiato”
Con una sentenza definita storica, il tribunale civile di Novara ha condannato una Rsa (residenza sanitaria assistenziale) a risarcire con 5.000 euro una donna alla quale fu impedito di salutare per l’ultima volta il marito, ricoverato e in fin di vita, nel gennaio 2021. La decisione introduce nel diritto civile italiano un concetto giuridico nuovo e profondamente umano: il “danno da mancato commiato”, cioè la sofferenza causata dal non poter essere presenti nel momento della morte di una persona cara.
Protagonista del caso è la signora Rosa Anna Z., che aveva perso il marito Pietro durante una delle ondate più dure della pandemia. L’uomo era ospitato in una Rsa di Novara, quando le sue condizioni si aggravarono improvvisamente. La donna venne informata della situazione con scarso preavviso e, nonostante le sue ripetute richieste di accesso, non ricevette risposta dai responsabili della struttura. Quando fu finalmente contattata, il marito era già in fin di vita. Arrivata pochi minuti dopo alla struttura, le fu concesso solo di vedere il corpo senza vita. Lei rifiutò: quel momento, per lei, era ormai irrimediabilmente perduto.

Una coppia senza figli, un addio negato
Nella motivazione della sentenza, il giudice sottolinea la singolarità e la profondità del legame tra Rosa Anna e Pietro: una coppia senza figli, senza parenti stretti, non credente, che aveva condiviso 50 anni di vita e lavoro, costruendo un legame esclusivo e profondo. Per loro, il momento della morte non aveva significati religiosi, ma rappresentava comunque un passaggio umano fondamentale, il gesto dell’ultimo saluto che chiude un’esistenza condivisa.
Il tribunale ha riconosciuto che il dolore per la perdita è stato aggravato in modo significativo dal comportamento della struttura, che ha “discrezionalmente impedito o comunque di fatto non consentito l’accesso, negando quel momento essenziale per l’elaborazione del lutto”. Si parla esplicitamente di “comportamento esercitato con eccesso di potere”, non giustificato dalle sole norme sanitarie vigenti all’epoca, ma frutto di una scelta discrezionale non proporzionata alla situazione concreta.
Il giudice: “Eccesso di prudenza, ma pur sempre eccesso”
Nella parte conclusiva della sentenza, il giudice civile chiarisce come non si tratti di una condanna alle norme sanitarie o ai protocolli emergenziali adottati durante il Covid-19, ma di una valutazione sull’uso concreto del potere discrezionale affidato ai responsabili delle Rsa. Secondo il magistrato, la struttura avrebbe potuto – e dovuto – informare prima la donna del peggioramento del marito e consentirle, come già avvenuto in precedenza, un ultimo incontro in sicurezza.
“Con tutta probabilità, un eccesso di prudenza – si legge – ma comunque un eccesso. Un avviso della morte imminente dato con troppo ritardo. Un comportamento plausibile nel generale, ma non giustificabile nel particolare.” È su questa base che nasce il riconoscimento del danno da mancato commiato, una ferita emotiva risarcibile perché legata a una violazione dei diritti relazionali fondamentali.

Un precedente che fa giurisprudenza
La decisione del tribunale di Novara apre uno scenario nuovo nel panorama giuridico italiano. Si tratta del primo caso in cui viene riconosciuto un risarcimento economico per l’impossibilità di dire addio a un proprio caro in ambito sanitario. Ma soprattutto, si afferma il principio che l’elaborazione del lutto passa anche attraverso la presenza fisica, e che negarla in modo ingiustificato può avere conseguenze gravi e durature.
Questa sentenza potrebbe rappresentare un precedente significativo per molti altri casi simili, rimasti finora senza voce e senza riconoscimento. La pandemia ha lasciato dietro di sé ferite non visibili, spesso taciute, ma profondamente laceranti: ora la giustizia sembra cominciare a dar loro un nome, e una risposta.
Nel silenzio della stanza in cui Rosa Anna non poté entrare, resta il ricordo di un amore lungo mezzo secolo e la consapevolezza, tardiva ma importante, che quel momento mancato aveva un valore. Un valore che, ora, è stato riconosciuto anche dalla legge.