
Elly Schlein e Giorgia Meloni sono le due facce di un’Italia che ha scelto di dividersi. L’una parla alla pancia della protesta, l’altra alla testa dell’ordine. Ma se Meloni cresce, non è solo per merito suo: lo deve anche a un’avversaria che agisce con evidente mancanza di visione. Perché Schlein è diventata, forse senza accorgersene, la migliore garanzia di sopravvivenza per il governo che vorrebbe abbattere. La sua politica è un esercizio di purezza ideologica, non di conquista del consenso. E in un Paese che diffida dei dogmi, la purezza è il modo più rapido per restare minoranza.
Negli ultimi mesi, la segretaria del Partito democratico ha scelto un terreno di battaglia che le garantisce applausi nelle piazze ma le toglie voti nelle urne. Da Gaza alla Palestina, dai cortei universitari agli striscioni che evocano Hamas, Schlein ha accettato che l’identità della sinistra si confonda con quella di una protesta globale e permanente. Le piazze che avrebbero dovuto rappresentare il volto civile dell’opposizione si sono trasformate in un teatro di radicalità, dove slogan ambigui e simboli estremi bruciano ogni possibilità di equilibrio. E in un Paese dove la paura pesa più della rabbia, è inevitabile che chi difende l’ordine ne raccolga i frutti.

La sinistra militante che indebolisce se stessa
Mentre Meloni rafforza il suo profilo istituzionale, Schlein si è rinchiusa in un’identità che non parla più al Paese reale. Il Pd che guida è diventato un partito di testimonianza, incapace di conquistare nuovi mondi. Ogni volta che la segretaria alza la voce contro il “fascismo” o contro i “diritti negati”, regala a Meloni la possibilità di sembrare la sola a incarnare moderazione, ordine e stabilità. È un meccanismo che si ripete: l’attacco frontale, invece di indebolire, rafforza il bersaglio.
E oggi è Schlein a inseguire i 5 Stelle, non il contrario. Nel tentativo di trattenere un elettorato che si sposta verso Giuseppe Conte, ha scelto di imitarne il linguaggio e i toni, adottando lo stesso populismo morale e la stessa retorica pacifista a senso unico. Ne è prova la crescente identificazione del Pd con il fronte pro-Palestina, fino a scelte simboliche che confermano questa deriva. L’episodio più emblematico è arrivato a Bologna, dove il consiglio comunale ha nominato Francesca Albanese cittadina onoraria, nonostante le sue posizioni radicali sul conflitto in Medio Oriente. Un gesto che racconta bene il cortocircuito della sinistra: invece di parlare al Paese, parla a sé stessa.

Il copione della purezza
Forse, però, non è solo miopia. Forse Schlein è stata disegnata così: il volto giovane, la grammatica del progressismo globale, l’impegno su temi universali ma lontani dalla vita quotidiana degli italiani. Una figura che parla alla coscienza, non al Paese. In un tempo in cui la politica si misura sulla concretezza, il suo idealismo finisce per sembrare un lusso d’élite. Ogni sua parola su Gaza o sulla “pace giusta” suona distante a chi si preoccupa di bollette, lavoro e sicurezza. Così la sinistra diventa un racconto morale, non una forza di governo.
In fondo, questa Schlein serve a molti: ai poteri interni che preferiscono un Pd identitario ma innocuo, a chi teme una sinistra competitiva. Perché una sinistra che perde con coerenza è l’avversario ideale di chi governa con pragmatismo. Schlein sembra nata per questo ruolo: militante e perdente, coerente e sterile, fedele al copione di chi non vuole cambiare davvero le cose, ma continuare a raccontarle. Finché resterà così, Meloni potrà dormire tranquilla: non ha davanti un’alternativa concreta, ma una narrazione contraria. E nella politica contemporanea, la narrazione conta più dei numeri.