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Cara Schlein, adesso che c’è la pace ringrazierai Donald Trump o Greta Thunberg?

Pubblicato: 09/10/2025 08:42

C’è un’ironia quasi perfetta in questa notte di ottobre: mentre il mondo scopre che Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per la tregua a Gaza, con il rilascio degli ostaggi e il ritiro progressivo delle truppe, la sinistra europea resta spiazzata. Per mesi ha marciato con gli slogan, ha sventolato bandiere, ha predicato pace e umanità. Ma la pace, quella vera, è arrivata non dai cortei né dagli appelli moralisti: è arrivata dai tavoli della diplomazia, dalle pressioni americane, dal realismo della politica internazionale.

Il silenzio della sinistra dopo la tregua

E allora viene da chiedersi: cara Schlein, a chi andrà il tuo ringraziamento? A Donald Trump, che ha condotto la trattativa più discussa e più efficace degli ultimi anni, o a Greta Thunberg, simbolo di quella generazione di attivismo globale che urla ma non incide mai? È una domanda provocatoria, certo, ma inevitabile: perché la pace non è figlia dei buoni sentimenti, è figlia del potere, della strategia, del coraggio di sporcarsi le mani.

Mentre gli Stati Uniti ricompongono un equilibrio nel caos mediorientale, in Italia c’è ancora chi confonde la causa palestinese con il sostegno a chi ha insanguinato Israele il 7 ottobre. E chi, come la segretaria del Partito Democratico, continua a inseguire le piazze più radicali, come se la sinistra potesse ritrovare un’anima solo schierandosi contro qualcosa. È la solita illusione: quella di credere che l’indignazione sia una politica.

Il realismo della pace e la crisi d’identità

In realtà, l’accordo raggiunto a Sharm el-Sheikh è la dimostrazione che il mondo non si muove secondo gli slogan, ma secondo gli interessi. Può piacere o no, ma la pace si costruisce con la forza, non con i cartelli. E chi continua a predicare senza mai decidere resta sempre un passo indietro.

Ora che il cessate il fuoco è realtà, le piazze pacifiste tacciono. Non c’è più il nemico simbolico da insultare, non c’è più la guerra da rivendicare come colpa dell’Occidente. E per chi vive di opposizione morale, è un dramma. Forse è per questo che, da sinistra, si fa fatica persino a riconoscere un risultato storico: perché toglie la narrazione del “noi contro loro” che da anni tiene insieme un campo politico ormai in crisi d’identità.

La pace di oggi non è perfetta, ma è reale. È il frutto di una diplomazia cinica e concreta, non di un sogno ingenuo. E forse, prima di cercare un nuovo corteo da guidare, qualcuno dovrebbe ammetterlo: che nel mondo vero la pace non la fanno gli slogan, ma chi ha la forza di trasformarli in decisioni.

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