
Sono venti uomini, per lo più giovani. Due soldati, due guardie private, due fratelli gemelli, un padre di famiglia, uno studente nepalese, un ebreo ucraino. Hanno vissuto due anni di prigionia a Gaza dopo essere stati rapiti il 7 ottobre 2023 durante l’attacco di Hamas nel sud di Israele. Ora, secondo quanto trapela dalle fonti diplomatiche, sarebbero pronti a riabbracciare i propri cari nell’ambito della prima fase del piano di pace promosso da Donald Trump, che prevede la loro liberazione in cambio di un vasto scambio di prigionieri e di un cessate il fuoco a Gaza.
Dei 48 ostaggi ancora detenuti nel territorio palestinese, 20 sarebbero vivi. Gli altri, 27 israeliani, si ritiene siano stati uccisi: i loro corpi verranno restituiti in un secondo momento. Alcuni sono stati sepolti, altri si trovano sotto le macerie, di altri ancora non si ha più traccia. L’accordo, che ha ottenuto l’appoggio congiunto di Stati Uniti, Unione Europea, Vaticano e Paesi arabi, rappresenta la prima concreta speranza di tregua dopo due anni di guerra e oltre 40mila vittime nella Striscia.

Cosa darà Israele in cambio degli ostaggi
In cambio del rilascio, Israele si è impegnato a liberare oltre 1.700 detenuti palestinesi, tra cui 200 ergastolani condannati per reati di sangue. È un gesto definito “storico” dal fronte diplomatico, ma anche “estremamente rischioso” da parte di alcuni esponenti israeliani, che temono un indebolimento della sicurezza interna.
Intanto, in Israele si respira un misto di speranza e tensione. Le famiglie degli ostaggi, che da due anni lottano per mantenere viva l’attenzione internazionale, trascorrono ore di attesa estenuante. “Matan mio, sopravvivi, resisti ancora un po’, per me, per tuo padre, per tutta la nazione che ti aspetta”, ha detto la madre di Matan Angrest, 22 anni, soldato rapito mentre era di pattuglia lungo il confine con Gaza.
Tra i prigionieri in procinto di tornare ci sono anche Ariel e David Cunio, fratelli catturati nel kibbutz di Nir Oz insieme alle loro famiglie. Le mogli e le figlie sono state rilasciate nei precedenti scambi di prigionieri, ma loro sono rimasti nelle mani di Hamas. “Non ci arrenderemo mai all’idea di non rivedervi, vi aspettiamo”, ha detto il padre in un messaggio diffuso da Gerusalemme.
Ci sono poi Gali e Ziv Berman, gemelli di 27 anni rapiti nel kibbutz Kfar Aza, Elkhana Bobot, 36 anni, e Rom Bravlaski, 21, entrambi presi durante il festival rave Nova. Con loro, Evyatar David e Guy Gilboa-Dalal, apparsi in un video di Hamas che mostrava altri ostaggi liberati mentre loro restavano indietro. Le immagini hanno scosso il Paese: “Sembravano usciti da un campo di concentramento”, ha raccontato il fratello di Evyatar.

Nell’elenco figurano anche Omri Miran, 48 anni, rapito davanti alla moglie e ai figli; Matan Zangauker, 25, e Avinatan Or, 32, il compagno di Noa Argamani, la giovane liberata a giugno nel centro di Gaza dopo un’operazione dell’esercito israeliano. “Sogno ogni notte di riaverlo fra le braccia”, ha detto Noa, diventata simbolo della resistenza e della speranza di Israele.
Il loro ritorno, se confermato, sarà il primo passo del piano Trump, che punta a una graduale smilitarizzazione di Gaza, al ritiro delle truppe israeliane e alla ricostruzione sotto supervisione internazionale, con l’obiettivo finale di favorire la nascita di uno Stato palestinese demilitarizzato. Un processo lungo e fragile, ma che — almeno per venti famiglie israeliane — potrebbe cominciare con un abbraccio atteso da 730 giorni.