
Il calendario segna ancora mesi e anni prima del prossimo ritorno alle urne, ma nei palazzi del potere la campagna elettorale è già cominciata. Non ci sono manifesti né comizi, ma strategie, telefonate riservate, bozze di riforme e silenzi che dicono più di mille dichiarazioni. La politica italiana, come spesso accade, si muove sottotraccia, costruendo oggi l’impalcatura di ciò che accadrà domani.
Il traguardo si chiama elezioni politiche 2027. Ed è un obiettivo che impone, già adesso, scelte precise: sul linguaggio, sulle alleanze, sulla costruzione del consenso. Ma soprattutto sulle regole del gioco. Perché chi scrive le regole spesso è anche il favorito per vincere. È qui che nasce una delle partite più delicate del momento: quella sulla riforma della legge elettorale.
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Fratelli d’Italia prepara il terreno con una nuova legge elettorale
Nel quartier generale di Fratelli d’Italia, in via della Scrofa, i contorni della strategia sono ormai definiti. Il partito della premier sta lavorando con decisione alla riforma del sistema elettorale, convinto che sia questa la chiave per consolidare la maggioranza e puntare a un secondo mandato nel 2027. Anche se pubblicamente si mantiene una certa prudenza, i colloqui con Forza Italia e Lega sono già in corso, almeno a livello informale.
La stessa Giorgia Meloni, ospite a Porta a Porta, ha lasciato intendere chiaramente la direzione in cui si vuole andare. “Io non sono contro una riforma della legge elettorale”, ha detto, aprendo all’ipotesi di inserire il nome del premier direttamente sulla scheda elettorale, collegandola così al progetto più ampio del premierato. Ma, ha aggiunto, “tanto vale che si decida di fare qualcosa immaginando quello che può accadere dopo”, confermando che i tempi della legge elettorale dovrebbero precedere quelli della riforma costituzionale.

Le due mosse: premier sulla scheda e addio ai collegi uninominali
L’idea di Fratelli d’Italia si articola in due punti principali: obbligare gli schieramenti a indicare il candidato premier in fase di voto e superare i collegi uninominali. Due mosse che, nei calcoli dei meloniani, metterebbero in difficoltà il centrosinistra. Perché? Perché costringerebbero l’area progressista a decidere subito chi dovrà guidare la coalizione: Elly Schlein, Giuseppe Conte o un terzo nome. Una scelta che rischia di spaccare il fragile equilibrio del cosiddetto campo largo.
Il meccanismo delle primarie, evocato più volte anche da Matteo Renzi, tornerebbe prepotentemente d’attualità. Tra i nomi circolati, anche quello della sindaca di Genova Silvia Salis, che alcuni vedrebbero come figura di sintesi. Ma le primarie, secondo chi studia la strategia a destra, non farebbero altro che mettere in luce le divisioni programmatiche tra Pd, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra.
La partita dei seggi e il rischio per la maggioranza
Ma la mossa più controversa riguarda l’eliminazione dei collegi uninominali, introdotti con il Rosatellum. Si tratta del vero “collante” che, secondo la destra, tiene insieme il centrosinistra: costringe partiti diversi a coalizzarsi per vincere nei territori. Togliendo questa necessità, Fratelli d’Italia mira a indebolire la coesione dell’alleanza avversaria.
C’è anche un ragionamento numerico. I sondaggi attuali mostrano una polarizzazione dell’elettorato a favore del centrodestra. Ma l’attuale sistema misto – proporzionale e maggioritario – può ancora, soprattutto al Senato, aprire scenari di pareggio. Cambiando le regole, si ridurrebbe questo rischio. Non a caso, il Pd ha reagito con durezza. La capogruppo alla Camera Chiara Braga ha dichiarato: “In tre anni di governo 13 miliardi in meno alla sanità, assegno di inclusione dimezzato e una famiglia su tre taglia la spesa alimentare. Ma la priorità della Meloni è il vittimismo e la legge elettorale”.

Tensioni nel centrodestra e partiti minori in allarme
Se il progetto piace a Fratelli d’Italia, non si può dire lo stesso per tutte le anime della maggioranza. La prospettiva di una riforma che taglia fuori i collegi uninominali preoccupa i partiti minori, che temono di non riuscire più a eleggere parlamentari in un sistema esclusivamente proporzionale.
La fibrillazione è già evidente: negli ultimi mesi si sono registrati passaggi da Noi Moderati a Forza Italia, tra cui quello del sottosegretario Giorgio Silli e, prima ancora, del deputato Pino Bicchielli. Segnali di tensione che anticipano possibili riposizionamenti politici, come dimostra l’accordo siglato tra la Dc di Totò Cuffaro e la Lega di Matteo Salvini, con il vincolo – in cambio del sostegno – di posti in lista garantiti. Un’intesa simile si sta costruendo anche tra Udc e Forza Italia, pronti a rafforzare il proprio peso interno alla coalizione.
Una riforma in bilico tra calcoli e consensi
Il rischio concreto è che questa spinta verso una nuova legge elettorale, pensata per blindare la vittoria futura, possa generare fratture nella stessa maggioranza. Ma a Giorgia Meloni appare chiaro che il tempo per intervenire è ora. Prima del referendum sul premierato, prima della prossima campagna elettorale, prima che le opposizioni trovino un assetto competitivo.
La partita è tutt’altro che semplice. Ma, come spesso accade in politica, non sarà solo il contenuto della riforma a fare la differenza, bensì il momento in cui verrà presentata, le alleanze che ne deriveranno e la capacità di tenere unita la coalizione anche davanti ai mal di pancia. E soprattutto, la sfida sarà farlo senza che la riforma appaia solo come una mossa di potere.