
Ogni mattina si alzava con una sola idea in testa: trovare una cura, una speranza, una via d’uscita per suo figlio. Julio Sergio Bertagnoli, ex portiere di Roma e Lecce, ha raccontato al Corriere della Sera il dramma più grande della sua vita: la morte del figlio Enzo, scomparso il 27 luglio scorso a soli 15 anni per un medulloblastoma, un tumore cerebrale aggressivo.
«Piangevo da solo, di nascosto — confessa — perché davanti a lui dovevo mostrarmi forte. Non potevo crollare, non avevo scelta. Se lo avessi fatto, sarebbe crollato tutto. Ma ora Enzo non c’è e non ci sarà più. Ci rivedremo tra qualche anno». Un dolore che non conosce tregua, ma che l’ex numero 1 giallorosso affronta con dignità e fede, nel tentativo di dare un senso a una perdita che senso non ha.
La malattia era stata scoperta nel 2020: «Aveva spesso mal di testa, ma nessuna visita riusciva a spiegare il perché. Una pediatra ci consigliò una tomografia: alle 17 lo portammo a fare l’esame, la mattina dopo alle 8 era già in sala operatoria per il suo primo intervento alla testa». Da quel giorno la vita di Enzo e della sua famiglia è cambiata per sempre. Le cure, le ricadute, le speranze. Poi, quando la malattia si è aggravata, il ragazzo ha trovato la forza di dire ai genitori: «Sono stanco, voglio riposare».
A commuovere il mondo era stato un video diventato virale: Julio Sergio e il figlio che si rasano insieme i capelli, per affrontare con coraggio la caduta causata dalla chemioterapia. «Lui si arrabbiava ogni volta che doveva tagliarli — ricorda —. Quel video è stato il nostro modo di dire a chi soffriva come noi che non era solo».
Oggi l’ex portiere combatte contro il senso di colpa e l’assenza: «All’inizio mi chiedevo se la separazione da sua madre potesse aver influito. Poi ho capito che certe cose non si possono controllare. Arrivano e basta». Enzo, però, non ha mai smesso di pensare agli altri: «Non ha mai pianto, anche se da anni non aveva una vita normale. In una delle ultime conversazioni gli ho detto che avrei voluto essere al suo posto. Mi ha risposto: “No papà, tu devi pensare a mamma e a mia sorella”».
Il suo ultimo desiderio, Enzo è riuscito a realizzarlo: incontrare Neymar, il suo idolo. «Prima di andarsene me lo aveva chiesto — racconta Julio Sergio —. Per fortuna siamo riusciti a organizzare la visita». Un ultimo sorriso, prima del silenzio. Da allora, il portiere si affida a uno psicologo, a uno psichiatra e alla fede: «La fede mi ha aiutato tanto — dice —. A capire che non tutto deve avere una spiegazione».
E nel vuoto che ha lasciato, resta l’immagine più potente: quella di un padre che si rasa la testa accanto al figlio, non per arrendersi, ma per combattere con lui fino all’ultimo respiro.