
Una Chiesa povera e per i poveri, eredità spirituale di papa Francesco, prende nuova voce nelle parole di papa Leone, che ha firmato la sua prima esortazione apostolica intitolata Dilexi te. Un documento che non solo raccoglie l’eredità del predecessore, ma la rilancia con forza e urgenza, nel solco della tradizione evangelica e del magistero sociale della Chiesa.
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Il testo nasce da un progetto avviato da papa Francesco nei suoi ultimi mesi di vita, come ricorda nell’introduzione il cardinale Prevost, e si sviluppa in cinque capitoli e 121 paragrafi, con un messaggio tanto spirituale quanto politico: non si può amare Dio senza amare i poveri.
La carne di Cristo nei poveri
Il cuore dell’esortazione è chiaro sin dalle prime righe: Cristo si incontra nella carne dei poveri. La povertà non è solo una condizione materiale, ma anche morale, spirituale, culturale, sociale. Papa Leone richiama l’intera Chiesa a un discernimento urgente: «I poveri sono al centro stesso della Chiesa». La loro condizione, scrive, è un «grido» che interpella ogni ambito della vita: dalla politica all’economia, dalle istituzioni religiose alla coscienza individuale.
In questa ottica, l’esortazione non si limita a denunciare, ma offre una lettura teologica della povertà, ispirata al Vangelo e alla storia della santità cristiana, con richiami espliciti a San Francesco, Camillo De Lellis, Madre Teresa di Calcutta e l’apostolo Paolo.

Una società che scarta senza accorgersene
Papa Leone denuncia «l’illusione di una felicità legata al successo e alla ricchezza» e una società che scarta, spesso senza nemmeno rendersene conto. Crescono, avverte, «élite di ricchi che vivono in una bolla», mentre milioni di persone «sopravvivono in condizioni indegne dell’essere umano». L’indifferenza, sottolinea, è diventata una cultura tollerata, e anche le emozioni collettive, come quelle suscitate dalla morte del piccolo Aylan, «svaniscono rapidamente».
La colpevolizzazione dei poveri, poi, viene definita un atteggiamento inaccettabile: «C’è chi afferma ancora che la povertà sia una scelta o una colpa». Ma, ammonisce, la maggior parte delle persone emarginate «lavora duramente solo per sopravvivere, senza reali prospettive di riscatto».
L’opzione preferenziale per i poveri
Tra i punti cardine dell’esortazione, emerge con forza il richiamo all’opzione preferenziale per i poveri, definita non come esclusione ma come «segno della compassione di Dio» per i più deboli. Citando l’Assemblea di Puebla del Celam, Leone ribadisce: «Dio ha particolarmente a cuore gli oppressi e i discriminati, e chiede anche alla Chiesa una scelta di campo decisa».
Un appello che riguarda anche il mondo occidentale, dove «cresce il numero di famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese», mentre aumenta la criminalizzazione della solidarietà. «Il fatto che l’esercizio della carità venga ridicolizzato o disprezzato – scrive – mi spinge a ribadire con forza che non possiamo dimenticare i poveri, senza uscire dalla corrente viva del Vangelo».

La povertà come prova della fede
Papa Leone afferma con chiarezza che il rapporto tra amore per Dio e amore per i poveri è indissolubile. L’uno è la prova concreta dell’altro. E lo ribadisce con parole nette: «Chi dice di amare Dio e non ha compassione per i bisognosi, mente». In questo senso, l’amore cristiano non è sentimento astratto ma si traduce in scelte concrete, nel servizio, nella condivisione.
Nel documento si legge che persino il nemico, se in difficoltà, merita soccorso, con un richiamo al Levitico che invita ad aiutare l’asino carico del proprio avversario. È la dignità della persona che conta, non la sua appartenenza o il suo passato.
Giustizia, non solo elemosina
Il Pontefice va oltre la logica dell’elemosina. Citando Sant’Agostino e Sant’Ambrogio, ricorda che «la condivisione è un atto di giustizia, non di pietà». I beni materiali, spiega, sono dati all’umanità perché siano usati insieme. «Non dai al povero del tuo – scrive – ma gli restituisci del suo». La povertà, per Leone, non è un problema da risolvere con politiche assistenziali, ma un’occasione per riconoscere il volto di Cristo.
E proprio nella vita monastica, nella carità silenziosa dei monasteri, Leone vede un modello: «I poveri non erano un problema da risolvere, ma fratelli da accogliere».
Educazione, accoglienza e sviluppo
L’esortazione non manca di richiamare anche l’importanza di educare i poveri, di promuoverli come persone e come comunità. La scuola, afferma, è uno strumento di giustizia e fede. E aggiunge: «I poveri non devono solo ricevere, ma essere messi in grado di partecipare».
Ai migranti, ma anche ai poveri delle periferie esistenziali, si applicano i quattro verbi tanto cari a Francesco: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. «Dove il mondo vede minacce, la Chiesa vede figli. Dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti», scrive papa Leone, che invita la comunità cristiana a essere «credibile nel Vangelo solo se accoglie».
Il ruolo dei movimenti popolari
Un’apertura significativa è riservata anche ai movimenti popolari, spesso composti da laici e leader comunitari, a volte marginalizzati o perseguitati, ma capaci di promuovere una nuova visione della democrazia. «Se i poveri non partecipano alla costruzione del proprio destino – scrive il Papa – la democrazia si svuota, si riduce a formalità».
Una Chiesa che cammina con gli ultimi
Papa Leone conclude l’esortazione con un’esortazione chiara: non è possibile costruire una società giusta senza affrontare le cause strutturali della povertà. L’economia attuale, afferma, «è malata, e finché uccide i più deboli, non può dirsi degna dell’essere umano». La conversione del cuore è necessaria, ma deve accompagnarsi a scelte politiche e sociali capaci di trasformare la realtà.
L’impegno della Chiesa, oggi come ieri, è quello di camminare accanto agli ultimi, nella consapevolezza che la povertà volontaria, vissuta per amore, è libertà, e che la carità non è un’opzione tra tante, ma il cuore stesso del Vangelo.