
Le tappe decise a Sharm el-Sheikh delineano la prima tregua stabile dopo due anni di guerra, ma restano aperte le incognite sul controllo politico e militare della Striscia di Gaza.
Gerusalemme – L’ultimo passaggio cruciale sarà alle 13, ora italiana, quando il governo israeliano voterà per dire ufficialmente “sì” all’intesa. Sono attese tensioni interne, con possibili dimissioni dai ministri dell’ultradestra, ma appare difficile che Benjamin Netanyahu scelga di sottrarsi alla forte pressione esercitata da Donald Trump, decisivo mediatore delle ultime ore.
Tempi e meccanismi dell’accordo
L’accordo prevede che, entro 24 ore dal voto, l’Idf si ritiri dalla Striscia di Gaza tornando sulla linea di sicurezza. Lo ha confermato un funzionario della Casa Bianca, spiegando che il ritiro dovrebbe concludersi “in meno di un giorno”. Subito dopo scatteranno le 72 ore previste per la liberazione degli ostaggi israeliani. I venti superstiti saranno consegnati al Comitato internazionale della Croce rossa e rimpatriati tra domenica e lunedì. Seguiranno i corpi dei rapiti morti e, solo successivamente, il rilascio dei prigionieri palestinesi.
Hamas ha comunicato di non poter localizzare circa dieci corpi, sepolti sotto le macerie o in aree distrutte dai bombardamenti. Un nodo tecnico già noto a Israele, che non dovrebbe compromettere il piano.
Il nodo dei prigionieri e il lodo Barghouti
Secondo la Bbc, Israele ha rifiutato la scarcerazione di Marwan Barghouti, nonostante le insistenze di Hamas. Tra i nomi esclusi figurano anche Abdullah Barghouti, Ahmed Saadat, Hassan Salama e Abbas al-Sayyed, considerati responsabili degli attentati dei primi anni Duemila. Saranno comunque liberati 250 ergastolani su 285 e 1.700 detenuti arrestati a Gaza negli ultimi due anni. Restano fuori i miliziani delle brigate Al Nukba, gli autori dell’attacco del 7 ottobre 2023, sui quali Israele ha posto un veto assoluto.
Gli aiuti umanitari entreranno immediatamente: 400 camion al giorno nella fase iniziale, con un aumento progressivo. Oltre a cibo e medicinali, serviranno tende, prefabbricati e macchinari per la rimozione delle macerie, mentre la priorità sarà ripristinare i servizi essenziali per oltre due milioni di civili rimasti senza casa e scuola.
L’Idf resta a Rafah, Hamas depone le armi
Il piano prevede che l’Idf abbandoni gran parte della Striscia, mantenendo una presenza limitata a Rafah, zona strategica di confine con l’Egitto e tradizionale punto di passaggio per armi e materiali vietati. L’operazione è già pronta e non dovrebbe durare più di un giorno.
Hamas, dal canto suo, ha accettato di deporre le armi, ma non di abbandonare la scena politica. A vigilare sul processo saranno Qatar e Turchia, garanti arabi chiamati a garantire l’attuazione del cessate il fuoco e la stabilità interna. È su questo fronte che si giocherà la sfida più delicata delle prossime settimane.
Il ruolo di Trump e il futuro di Gaza
Donald Trump potrebbe atterrare in Israele già nelle prossime ore: Netanyahu lo ha invitato a parlare alla Knesset per rafforzare il sostegno politico all’intesa e rassicurare la destra israeliana.
Resta tuttavia un enorme punto interrogativo sul governo della Striscia di Gaza. Chi guiderà il territorio? Quali poteri avrà l’organismo internazionale presieduto da Trump e affidato a Tony Blair? E soprattutto, chi rappresenterà i palestinesi nel nuovo assetto? L’obiettivo americano è impedire che Israele annulli di nuovo l’accordo dopo la restituzione degli ostaggi. Ma su questi interrogativi, politici e morali, il futuro della Striscia rimane ancora tutto da scrivere.