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Rimane vedova per il Covid, ora le chiedono 200mila euro: la sua storia fa indignare l’Italia

Pubblicato: 09/10/2025 20:44

Una sentenza destinata a far discutere: una donna, vedova e madre di due figli minorenni, è stata condannata dalla Corte d’appello di Bologna a restituire 200mila euro a una compagnia assicurativa, oltre al pagamento di circa 24mila euro di spese legali. In primo grado, il Tribunale di Parma le aveva dato ragione, riconoscendole il diritto al premio assicurativo in seguito alla morte del marito per Covid-19.

Il marito, deceduto il 27 marzo 2020 a causa delle complicanze dovute al virus, lavorava in una concessionaria d’auto. A seguito della sua morte, la donna aveva avanzato richiesta di indennizzo sulla base di una polizza vita stipulata anni prima. Il tribunale parmense aveva accolto le tesi della famiglia, sostenute dall’avvocatessa Francesca Barbuti, disponendo il pagamento dell’indennizzo.

Tuttavia, la Corte d’appello ha ribaltato completamente la decisione, ritenendo che il decesso per Covid non possa rientrare nella definizione contrattuale di “infortunio”. I giudici Fiore, Rossi e Gaudioso hanno infatti sostenuto che “nell’ipotesi del Covid-19 a risultare violenta non è tanto la causa, quanto piuttosto l’effetto”, escludendo quindi il diritto all’indennizzo sulla base della polizza in essere.

La polizza in questione era una normale assicurazione infortuni e, come la maggior parte di quelle sottoscritte prima del 2020, non contemplava il rischio pandemico. La questione giuridica si concentra su un punto delicato: il Covid-19 può essere considerato un infortunio secondo i termini del contratto, oppure no?

Secondo la Corte, la risposta è negativa. La sentenza evidenzia come, in ambito assicurativo privato, ciò che conta non è la classificazione clinica della malattia, bensì il significato che le parti hanno voluto attribuire ai termini del contratto. La Corte richiama un principio recentemente espresso dalla Cassazione, secondo cui “non conta cosa sia un’infezione dal punto di vista clinico, ma cosa le parti del contratto hanno voluto che fosse”.

I giudici bolognesi hanno ribadito che nell’interpretazione di un contratto, il giudice non deve definire concetti oggettivi, ma ricostruire la volontà delle parti. In altre parole, nulla vieta alle parti di un contratto di qualificare un evento come infortunio o malattia in modo soggettivo, purché ciò emerga chiaramente dal contenuto dell’accordo.

Alla luce di questo principio, la Corte ha stabilito che chi contrae una malattia infettiva “si ammala, non si infortuna”, e dunque non ha diritto al pagamento previsto per gli infortuni. Di conseguenza, la vedova dovrà restituire la somma già percepita, aggravata dalle spese legali.

Il legale della donna sta ora valutando il ricorso in Cassazione, ma il caso mette in luce un vuoto normativo e interpretativo che riguarda molte polizze stipulate prima della pandemia. La giurisprudenza italiana, infatti, non ha ancora una linea uniforme rispetto ai risarcimenti per decessi da Covid.

Nel frattempo, la famiglia della vittima si trova a fronteggiare non solo il dolore per la perdita, ma anche un gravoso impegno economico, segno di come, a volte, le pieghe dei contratti assicurativi possano rivelarsi fatali proprio nei momenti più fragili della vita.

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