
Non è una strada in discesa verso la pace quella imboccata quando, nella notte, il presidente americano Donald Trump ha annunciato che a Sharm el-Sheikh l’accordo di pace era stato raggiunto. Trump può rivendicare di essere stato il motore che, con il supporto degli Stati arabi e islamici, ha portato a questo primo risultato. Gliene va dato atto. L’accordo raggiunto sorprende? Non molto, se qualche giorno fa Papa Leone XIV si era tetto pubblicamente ottimista.
Trump ha fatto a suo modo, giocando su vari tavoli, minacciando catastrofi, e anche lo stesso Netanyahu. Non lo sapremo mai, ma al controverso – a dir poco – premier israeliano, deve aver detto “falla finita”. Mentre spiegava ad Hamas che aveva perso e che se non avesse accettato il suo piano sarebbe stata sterminata, certo che i loro vicini non avrebbero mosso un dito per difenderla.

Trump pronto per il Nobel? No, ma quasi
D’altra parte al presunto amico Netanyahu deve aver detto che dei suoi due ministri oltranzisti Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich gliene importava meno di niente. Votassero pure contro. Nella notte si è festeggiato, non solo a Gaza, ma anche in Israele. A Tel Aviv si gridava “thank you Trump”. Probabilmente non gli basterà per conquistare il Nobel (il “nemico” “New York Times” però si è affrettato a candidarlo) ma certo è la prima volta che riesce ad essere percepito come “vincitore”, scrollandosi un po’ di dosso il fallimento, per ora, con Putin sul fronte ucraino.
Che cosa accadrà adesso? La strada è ancora lunga verso una pace solida e duratura. È non solo auspicabile ma possibile che riprendano i colloqui israelo-sauditi per allargare gli accordi di Abramo, che erano non in corso quando l’Iran ha ordinato ad Hamas di agire. Ma il nodo principale resta la creazione formale di uno Stato Palestinese.
Festa a Gaza
Qualche dubbio, al di là della pressione dei coloni sui territori della Anp, riguarda proprio la individuazione di una nuova classe dirigente palestinese. Il vecchio Abu Mazen in questi mesi, memore della guerra civile a Gaza, vinta da Hamas, non è in grado di crearla, rivoltando una gestione gravata da incapacità e corruzione. Ci vorrà del tempo. Una nuova classe dirigente che dovrà proiettarsi verso una indipendenza reale, senza illudersi che uno Stato vero possa esistere solo grazie al sostegno finanziario esterno, che derivi dall’Onu, dalla Ue o da qualunque altro attore. Sovranità e indipendenza questo significa. Settantasette anni dopo il rifiuto arabo della “partizione” decisa dall’Onu, nessun “palestinese”, islamico o cristiano che sia, può pretendere essere ancora considerato un popolo di profughi. Hanno diritto alla terra, ma questo diritto deve essere conquistato con la formale accettazione della esistenza dello Stato di Israele.

Si illude chi pensa che il processo sia semplice. Liberati gli ostaggi, anche Israele dovrà riflettere sul suo futuro. I vertici residui di Hamas dovranno dimenticare la stagione del terrorismo. Non sarà facile. Ma la strada è stata imboccata. E bene faranno l’Unione Europea ma, per quanto ci riguarda più da vicino, anche l’Italia, a essere parte attiva nella costruzione di un nuovo e stabile equilibro nel Medio Oriente. La disponibilità del governo Meloni sembra certa.
Sul piano interno, politicamente, la svolta certo non aiuta le opposizioni. Al di là del sostegno all’inutile Flotilla, le posizioni di PD, con qualche malumore interno, e dei 5 Stelle, di mese in mese si sono sempre più radicalizzate in senso anti israeliano. Lo hanno fatto per pregiudizio “ideologico”, per altro illudendosi di poter cavalcare il disagio popolare a fini elettorali, anche a rischio di alimentare un antisemitismo violento. Il che, puntualmente, è accaduto.
Fare di Francesca Albanese una eroina mediatica – capace di contestare persino un monumento come Liliana Segre – è stato un errore strategico, che ha indispettito e preoccupato l’elettorato progressista moderato. La sinistra, in sostanza, ha dato prova di non possedere la cultura di governo. I “protagonisti” del “campo largo” hanno scelto di rincorrere l’estremismo di Landini e Fratoianni. Se saranno capaci di voltare pagina è tutto da vedere. I malumori sono diffusi ma, per quanto riguarda il PD, una alternativa alla Schlein non si intravvede. “Ci vorrebbe un altro Prodi”, sembra avere detto un esponente del Pd allo stesso ex anziano presidente del Consiglio. Il quale avrebbe risposto: “Non ne vedo in giro”. E se non lo vede nemmeno lui…