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“Aveva 8 anni, voleva andare a scuola”. Gaza, la piccola Rasil è l’ultima vittima prima della tregua

Pubblicato: 11/10/2025 19:26

L’ultima e straziante vittima della guerra a Gaza è stata una bambina di otto anni, Rasil Kawarei. Rasil non aveva mai avuto l’opportunità di andare a scuola, poiché a Gaza gli edifici scolastici sono ormai ridotti a cumuli di macerie o trasformati in rifugi di fortuna per la popolazione sfollata.

Nata a Khan Younis, la piccola è stata colpita a Rafah, ironicamente, da quello che è stato descritto come un proiettile “vagante”, un’espressione che tenta forse di attenuare la responsabilità. L’ora del suo decesso è stata fissata alle sei del mattino del giorno precedente all’entrata in vigore del cessate il fuoco, un tragico epilogo arrivato appena sei ore prima che le armi tacessero.

La disperazione e i se di una madre

La fine della brevissima vita di Rasil è per sua madre, Noja Kawarei, 41 anni, un incubo costellato di interrogativi irrisolti e rimpianti. Seduta nel buio di una tenda ad al-Mawasi, dove vive da tre mesi da sfollata, la donna si tortura ripetendo a sé stessa una serie infinita di “se”. «Se a Sharm el-Sheikh avessero fatto prima, se l’accordo fosse stato siglato subito, se Netanyahu avesse ritirato subito l’esercito non appena Trump ha detto che c’era la tregua, se non fossi passata in quel punto con Rasil…».

Questi strazianti “se” incarnano il peso della decisione politica e del tempismo diplomatico sulla vita delle persone comuni. Il ritardo nel raggiungimento della tregua ha avuto un costo umano inaccettabile e immediato.

Il tragico percorso verso una ricarica

Il giorno fatale era giovedì, lo stesso giorno in cui a Gerusalemme il governo era impegnato in una riunione fiume per dare il via libera all’accordo di cessate il fuoco, mentre a Gaza la popolazione, ignara del dramma imminente, iniziava già a festeggiare con cautela. Noja e Rasil stavano camminando insieme, dirette verso una tenda vicina che aveva la fortuna di possedere un pannello solare, l’unico modo per ricaricare un telefono in un contesto di distruzione.

L’obiettivo era un’esigenza banale nella normalità, ma vitale in un conflitto: mantenere una connessione. All’improvviso, un proiettile ha centrato la bambina allo stomaco. La madre è certa della provenienza del colpo: «Proveniva dalla zona dove si trova il sito di distribuzione del cibo della Gaza humanitarian foundation, ne sono sicura». Questa non era la prima volta che accadeva: sua sorella, Lina, era stata ferita nello stesso modo.

Le prove e il soccorso inutile

I parenti della piccola Rasil hanno mostrato i proiettili che negli ultimi giorni hanno ripetutamente colpito le loro precarie tende. I vicini di rifugio hanno confermato i loro racconti, aggiungendo che spesso schegge incandescenti cadevano sul campo profughi. Rasil ha perso immediatamente conoscenza.

È stata trasportata d’urgenza in moto, il mezzo più rapido disponibile, all’ospedale da campo gestito dalla Croce Rossa Internazionale. Ma la ferita era troppo profonda e la quantità di sangue perso troppo ingente. I medici hanno deciso di trasferirla in ambulanza all’ospedale Nasser, a Khan Younis. L’unico barlume di speranza era legato a una condizione difficilissima: «Se resiste 48 ore ha buone possibilità di sopravvivere, anche se rimarrà disabile». Un destino già segnato, ma che non ha avuto nemmeno il tempo di manifestarsi.

La morte all’alba del cessate il fuoco

Il destino ha voluto che proprio il mattino seguente, quando migliaia di persone a Gaza si mettevano in cammino piene di speranza per cercare di tornare verso nord, i medici chiamassero la madre per comunicarli che Rasil era morta. Noja Kawarei, mentre sul telefono vedeva immagini di persone felici e di festeggiamenti per la tregua, si è ritrovata a doversi preparare per la sepoltura della sua bambina. La sua disperazione è riassunta in un amaro e semplice calcolo: «Bastava poche ore e sarebbe ancora viva». Per lei, la tregua, di cui ignora le complesse dinamiche politiche e la possibile durata, è arrivata troppo tardi. Rasil si è spenta all’alba del venerdì, proprio mentre i cannoni smettevano di sparare.

Un dolore condiviso negli ultimi momenti di guerra

Il pensiero di Noja Kawarei risuona in quello di molti altri a Gaza. Rasil è stata una delle ultime 17 vittime palestinesi uccise dai razzi dell’aviazione israeliana nelle sole 24 ore precedenti l’entrata in vigore del cessate il fuoco. E lo stesso sentimento di dolore tardivo ha colpito anche Israele, con i genitori del soldato riservista ventiseienne Michael Nachamani, colpito e deceduto giovedì per mano di un cecchino. Rasil, sopravvivendo per qualche ora in più rispetto ad altre vittime, è diventata il simbolo straziante di una tregua arrivata sul filo di lana, un momento di pace che ha fallito nell’interrompere un destino già scritto. L’auspicio finale, tanto della madre quanto del cronista, è che Rasil e Michael siano davvero gli ultimi morti di questa guerra, e che il sangue smetta definitivamente di scorrere.

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