
È una prospettiva che prende corpo a passi lenti ma decisi: l’Italia si prepara a partecipare con i propri militari alla futura forza internazionale di sicurezza destinata a Gaza. Il tema è tornato centrale dopo l’accordo che ha fermato i combattimenti e aperto la strada a un nuovo equilibrio politico nella regione. Il governo lavora a un’ipotesi di presenza sotto mandato internazionale, con ruoli di protezione umanitaria, controllo dei confini e stabilizzazione post-bellica.
Le prime indicazioni operative arrivano dal ministero della Difesa, dove si studiano i possibili assetti da schierare: reparti del Genio militare per il ripristino delle infrastrutture essenziali, nuclei sanitari e logistici per l’assistenza ai civili, e un contingente limitato di Carabinieri destinato alla sicurezza dei convogli e al coordinamento con le forze locali. L’Italia vanta esperienza in missioni simili, dal Libano al Kosovo, e punta a proporre un modello di presenza credibile, ma non invasiva.

Tajani: “Faremo la nostra parte, anche con i militari”
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato che Roma è pronta a contribuire “alla stabilizzazione e alla ricostruzione, anche con un impegno militare se richiesto dal contesto internazionale”. Tajani ha ricordato che “i nostri uomini sono già presenti in Cisgiordania, a Gerico, e in contatti costanti con i partner arabi”, sottolineando che l’Italia si muoverà “solo nel pieno rispetto del diritto internazionale e sotto un comando condiviso”.
Per il titolare della Farnesina, la nuova fase richiede “forze addestrate a operare in aree complesse, con capacità ingegneristiche e sanitarie integrate”. Il governo valuta inoltre un contributo di mezzi navali nel Mediterraneo orientale per garantire la sicurezza dei corridoi umanitari, mentre sul terreno l’impegno resterebbe limitato a funzioni non combattenti.
Meloni: “L’Italia sarà in prima linea, ma con prudenza”
Anche la premier Giorgia Meloni ha ribadito che l’Italia “sarà in prima linea nella fase di ricostruzione e sicurezza di Gaza”, ma ha precisato che ogni decisione “sarà presa con prudenza, valutando la cornice internazionale e le garanzie di sicurezza per i nostri uomini”.
Meloni ha difeso la linea dell’equilibrio: “L’Italia non parteciperà mai a missioni simboliche o improvvisate. Serve una forza credibile, capace di difendere la pace, non di metterla in pericolo”. Parole che alludono alle recenti polemiche sulle iniziative civili dirette verso la Striscia, definite dalla premier “azioni irresponsabili che espongono i nostri cittadini a rischi enormi”.
Il messaggio è chiaro: l’Italia non rinuncia al suo ruolo nel Mediterraneo, ma lo esercita con strumenti militari e diplomatici coordinati, non con gesti isolati. L’obiettivo è contribuire alla sicurezza, evitando che la Striscia ricada nel caos dopo la tregua.
Crosetto: “Le forze armate pronte a fare la loro parte”
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha aggiunto un’impronta diretta sul tema militare, dichiarando: “L’Italia c’è e ci sarà sempre, quando si tratta di aiutare e sostenere i processi di pace” e ribadendo che le Forze Armate “saranno pronte a fare la loro parte” nelle missioni future.
Crosetto ha evidenziato che l’impegno italiano non dovrebbe limitarsi a ruoli simbolici ma includere compiti concreti nei passaggi essenziali del piano di pace, quando sarà attivata la fase operativa.
I compiti possibili e i vincoli operativi
Nella bozza che circola tra Farnesina e Difesa, i compiti ipotizzati per il contingente italiano sono quattro: protezione degli aiuti, messa in sicurezza dei valichi, assistenza logistica ai civili e supporto ingegneristico alla ricostruzione. L’area più probabile di impiego resta quella di Gerico, in Cisgiordania, sotto controllo congiunto arabo-occidentale.
Sul piano tecnico, si prevede l’impiego di circa 250-300 unità in rotazione, con un centro di comando avanzato presso una base già utilizzata nelle missioni ONU. La componente sanitaria potrebbe essere affidata alla Brigata Sassari, già addestrata per contesti post-bellici, mentre i Carabinieri manterrebbero la cornice di sicurezza.
Restano tuttavia vincoli precisi: l’autorizzazione parlamentare, la definizione del mandato internazionale e la certezza di una catena di comando unificata. L’Italia non intende partecipare a operazioni fuori da un quadro multilaterale.
Un segnale politico per l’Europa
Al di là dell’aspetto operativo, la decisione avrebbe un valore politico. L’Italia vuole confermare la sua centralità nel Mediterraneo e nell’Europa della difesa, dimostrando di poter agire non solo come mediatore ma come attore di sicurezza.
Il governo rivendica la coerenza della propria linea: sostegno alla pace, ma attraverso la forza legittima e organizzata. In questo senso, la partecipazione italiana a Gaza sarebbe il segnale di un’Europa che non si limita a osservare, ma comincia — finalmente — a proteggere.