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Gli ultimi venti ostaggi liberati da Hamas: le storie di chi è tornato a casa dopo due anni di prigionia

Pubblicato: 13/10/2025 07:15

Le famiglie li hanno attesi per due anni, aggrappate a ogni notizia, a ogni video, a ogni voce arrivata da Gaza. Le loro foto, appese sui muri e nelle piazze, erano diventate il simbolo dell’attesa di un Paese intero. Oggi, dopo oltre ventiquattro mesi di prigionia, gli ultimi venti ostaggi israeliani ancora in vita sono tornati a casa. Gli ospedali di Tel Aviv e Gerusalemme li attendono per un recupero lungo e difficile, fisico e mentale, mentre Israele celebra il ritorno di chi era scomparso nelle mani di Hamas il 7 ottobre 2023, nel giorno dell’attacco che ha cambiato la storia recente dello Stato ebraico.

Due anni di prigionia e speranza

Delle 251 persone rapite nel sud di Israele durante l’assalto, 204 erano già state recuperate: 138 rilasciate vive durante due cessate il fuoco – il primo nel novembre 2023, il secondo nella primavera 2024 – in cambio di centinaia di detenuti palestinesi; 55 trovate morte dalle truppe israeliane nei tunnel e nelle case distrutte di Gaza; 8 liberate in raid speciali dell’esercito; e 3 uccise per errore dai soldati israeliani mentre cercavano di fuggire, scambiate per miliziani. Ma per venti famiglie la speranza non si era mai spenta.

Tra i liberati ci sono soldati, civili, studenti stranieri, guardie private e padri di famiglia. C’è Matan Angrest, 22 anni, soldato di leva, catturato mentre era di servizio lungo il confine con Gaza durante l’attacco. Sua madre, pochi giorni prima del rilascio, aveva lanciato un appello che ha commosso il Paese: “Matan mio, sopravvivi, resisti ancora un po’, per me, per tuo padre, per i tuoi fratelli, per tutta la nazione che ti aspetta”.

Ci sono anche due fratelli, Ariel e David Cunio, di 28 e 34 anni, rapiti entrambi nel kibbutz Nir Oz. Ariel era stato catturato insieme alla sua fidanzata, poi liberata in uno degli scambi di prigionieri; David era stato preso con la moglie e le figlie, due gemelline di tre anni. La moglie e le bambine erano già tornate a casa, come la sorella di David e la sua figlioletta di sei anni, anche loro sequestrate a Nir Oz. Il padre dei due fratelli aveva detto solo pochi giorni fa: “Ariel e David, noi non ci siamo arresi all’idea di non rivedervi, vi aspettiamo, non arrendetevi figli miei”.

I gemelli di Kfar Aza e gli ostaggi del rave

Ci sono anche Gali e Ziv Berman, gemelli di 27 anni del kibbutz Kfar Aza, trascinati via mentre cercavano di nascondersi nelle loro case. L’ultimo messaggio di Ziv, inviato a un amico, è stato un breve saluto: “Stanno entrando, non so se ci risentiremo”. La madre, in un videomessaggio diffuso a settembre, aveva detto solo: “Tenete duro ragazzi, sognate insieme a noi un lieto fine”.

Dal festival rave Nova, diventato uno dei simboli della tragedia, arrivano molte delle storie più note. Elkhana Bobot, 36 anni, era tra i ragazzi che ballavano nella notte del 7 ottobre, quando le sirene hanno annunciato l’imminente attacco. La sua famiglia ha appreso che era ancora vivo solo durante il secondo cessate il fuoco, un anno dopo. Rom Bravlaski, 21 anni, era in licenza dal servizio militare e lavorava come guardia privata all’evento: è stato ferito e catturato mentre soccorreva un partecipante colpito. “Avrebbe potuto scappare, mettersi in salvo, ma non lo ha fatto”, ha ricordato la zia, “è un eroe”.

Ci sono poi Nimrod Cohen, soldato ventenne catturato mentre si trovava su un carro armato, e Evyatar David, 24 anni, rapito insieme all’amico Guy Gilboa-Dalal. Entrambi erano apparsi in un video diffuso da Hamas, in cui altri ostaggi venivano liberati mentre loro restavano in prigionia. “Evyatar era pelle e ossa, immagini che sembravano uscite dall’Olocausto”, ha detto suo fratello.

Tra i liberati figura anche Maxim Herkin, 37 anni, ebreo ucraino: era stato rapito al festival Nova pochi giorni dopo essere rientrato da Kiev, dove aveva visitato la sua famiglia segnata dalla guerra con la Russia. “In una settimana è passato da un conflitto all’altro”, ha commentato un amico.

Famiglie divise e sogni interrotti

Eitan Horn, 38 anni, è stato catturato nel kibbutz dove si era recato a trovare il fratello maggiore Yair, pure lui preso in ostaggio ma liberato in uno degli scambi. Omri Miran, 48 anni, padre di famiglia, è stato rapito mentre viaggiava in auto: Hamas lo ha prelevato sotto gli occhi della moglie e dei figli, terrorizzati e impotenti.

Un’altra guardia privata del festival Nova, Eitan Mor, 25 anni, è tra i liberati, come Bar Kuperstein, 23 anni, Segev Kalfon, 27, Yosef-Haim Ohana, 24, e Alon Ohel, 24: tutti catturati nelle prime ore dell’attacco mentre cercavano di fuggire dal deserto. A loro si aggiunge Matan Zangauker, 25 anni, rapito insieme al partner nel kibbutz Nir Hoz: il compagno era stato liberato nel novembre 2023, ma di Matan non si erano più avute notizie.

E poi Avinatan Or, 32 anni, rapito insieme alla fidanzata Noa Argamani, divenuta il volto della speranza di Israele. Noa era stata liberata a giugno dall’esercito israeliano durante un’operazione nel centro di Gaza. Raccontò che Hamas li aveva separati subito dopo il sequestro, e da allora non aveva più saputo nulla del suo compagno. “Sogno ogni notte di riaverlo fra le braccia”, aveva detto pochi giorni fa. Oggi quel sogno è diventato realtà.

Il ritorno di questi venti ostaggi chiude simbolicamente una delle pagine più drammatiche della storia israeliana recente. Dopo due anni di guerra, trattative e cessate il fuoco, il rilascio è avvenuto nell’ambito del nuovo accordo di pace mediato da Donald Trump ed Egitto, che prevede anche lo scambio di detenuti palestinesi e la graduale ricostruzione di Gaza. Il premier Benjamin Netanyahu, rivolgendosi alle famiglie, ha dichiarato che “Israele non dimenticherà mai i suoi figli”.

Nel frattempo, a Sharm el-Sheikh, si prepara il “Vertice della pace” presieduto dallo stesso Trump e dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, con la partecipazione di oltre venti leader mondiali. Nelle piazze israeliane, le famiglie degli ostaggi si sono riunite in silenzio, stringendo bandiere e foto, mentre in molti sussurrano le stesse parole: “Bentornati a casa”.

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