
Un faccia a faccia inedito e delicatissimo, tenutosi in una villa nei pressi del resort di Sharm el-Sheikh, ha sigillato l’accordo per Gaza. Da una parte, due uomini chiave dell’amministrazione Trump: Steve Witkoff, imprenditore e inviato speciale, e Jared Kushner, genero del presidente ed ex consigliere senior. Dall’altra, il leader della delegazione di Hamas, Khalil al-Hayya, figura al centro delle tensioni regionali e sopravvissuto a un recente tentativo di eliminazione da parte israeliana. Un incontro che, secondo quanto riportato da Axios, rappresenta molto più di un semplice dettaglio: è la prova concreta di un approccio pragmatico, diretto e non convenzionale scelto da Donald Trump nel suo tentativo di mediare un’intesa duratura tra le parti.
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L’incontro che ha sbloccato tutto
Era la tarda serata di mercoledì scorso, attorno alle 23.00, quando i mediatori del Qatar hanno bussato alla porta della suite occupata da Steve Witkoff al Four Seasons di Sharm el-Sheikh. Il messaggio era chiaro: qualcosa stava andando storto. Hamas era sul punto di ritirarsi dal tavolo, timorosa che, una volta liberati gli ostaggi israeliani, il governo di Benjamin Netanyahu avrebbe ripreso le ostilità nella Striscia di Gaza. A frenare la firma dell’intesa non era tanto il contenuto tecnico dei 20 punti del piano Trump, quanto la mancanza di una garanzia politica forte e credibile.
A quel punto, la richiesta è stata esplicita: Hamas voleva la certezza diretta da parte degli Stati Uniti, e più precisamente da Donald Trump, che Israele sarebbe stato vincolato a rispettare i termini dell’accordo. Un alto funzionario qatarino, secondo il resoconto raccolto da Axios, avrebbe detto a Witkoff: “Siamo convinti che se li vedi e stringi loro la mano, l’accordo ci sarà”.

La stretta di mano tra Kushner e al-Hayya
La decisione di accettare l’incontro diretto con la leadership di Hamas non è stata presa alla leggera. In un colloquio precedente alla loro partenza, Trump aveva autorizzato esplicitamente Witkoff e Kushner a incontrare la delegazione palestinese, qualora si fosse reso “indispensabile” per portare a termine la missione diplomatica. Ed è esattamente ciò che è accaduto.
Steve Witkoff e Jared Kushner si sono recati nella villa dove si trovavano i rappresentanti qatarini, accompagnati dai capi dei servizi di intelligence egiziani e turchi. Ad attenderli, Khalil al-Hayya, leader di spicco dell’ala politica di Hamas, già bersaglio di un raid israeliano a Doha. Il colloquio, durato 45 minuti, si è svolto in un clima teso ma operativo. Witkoff e Kushner hanno garantito personalmente che Donald Trump avrebbe vigilato sull’implementazione integrale del piano, punto per punto, assicurando così che Israele non avrebbe ripreso le ostilità dopo la liberazione degli ostaggi.
Un’intesa raggiunta in modo irrituale
Quello andato in scena tra Kushner, Witkoff e al-Hayya è un episodio che segna un passaggio chiave nei delicatissimi negoziati per Gaza. Non solo per il contenuto dell’accordo, ma per le modalità con cui è stato raggiunto. L’incontro diretto tra rappresentanti degli Stati Uniti e la leadership di Hamas rappresenta infatti una rottura degli schemi diplomatici tradizionali, tanto più considerando che Hamas è considerato un gruppo terroristico da Washington.

Tuttavia, è proprio questa flessibilità operativa, questo approccio irrituale e pragmatico, che ha permesso a Trump di portare Hamas al tavolo e ottenere una firma in tempi brevi. Il risultato? Un’intesa che, almeno sulla carta, promette una de-escalation del conflitto e l’apertura di un nuovo possibile scenario per la gestione della crisi a Gaza.
La posta in gioco resta altissima
Sebbene l’accordo sia stato formalizzato dopo l’incontro, resta da vedere se e come le parti coinvolte rispetteranno i vincoli previsti dal piano. Il timore di Hamas – che una volta liberati gli ostaggi possa riprendere la guerra – non è del tutto fugato. Così come non è chiaro se Israele, e in particolare Netanyahu, si atterrà in modo rigido agli impegni presi da una parte terza, cioè l’amministrazione americana.
L’unica certezza è che, in un momento cruciale del conflitto, una stretta di mano diplomatica, maturata in una villa sorvegliata nella notte egiziana, ha riscritto le regole della trattativa. E con esse, forse, anche il destino prossimo della Striscia di Gaza.