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“È morto così!”, grave lutto per Beppe Grillo: “Perché era famosissimo”

Pubblicato: 15/10/2025 10:50
Beppe Grillo grave lutto

È difficile credere che una figura come la sua possa davvero sparire. Alcune persone, per come vivono, per ciò che rappresentano, sembrano destinate a restare. E quando se ne vanno, lasciano un vuoto che non è solo affettivo: è un taglio netto nella coscienza collettiva. Flavio Gaggero, medico, uomo, cittadino, è stato una di quelle presenze che non si dimenticano. Aveva 88 anni, ma chi lo conosceva lo vedeva ancora animato da un’energia quasi giovanile, una voglia di esserci, sempre.
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Il suo era un impegno silenzioso e tenace, fatto più di gesti concreti che di proclami. Il suo studio dentistico era un punto di riferimento non solo per chi poteva permetterselo, ma anche – e soprattutto – per chi non aveva nulla. Gaggero ha scelto di curare gli ultimi, ogni giorno, con dedizione e umanità. Senza clamore, senza esibizionismi.

Lo studio aperto fino a notte per chi non poteva pagare

Era questo, forse, il tratto più straordinario del dentista di Pegli: non negava mai un aiuto. Lo ricorda Carlo Besana, presidente onorario del circolo Pianacci, che sottolinea come lo studio di Gaggero fosse “sempre aperto, anche fino alle undici di sera”, per accogliere chi non poteva permettersi le cure. “Quante persone del Cep ho mandato da lui – dice commosso – e non ha mai detto di no”.

Nonostante il suo studio fosse frequentato da personaggi celebri come Renzo Piano, Adriano Celentano, Giorgio Albertazzi e Gino Paoli, Gaggero rifiutava con forza l’etichetta di “dentista dei vip”. Non gli interessava la notorietà, e detestava le classificazioni che mettono le persone su piani diversi. Per lui, ogni paziente aveva lo stesso diritto alla cura, alla dignità, all’ascolto.

L’amicizia con don Gallo e l’impegno per i migranti

Profonda è stata la sua amicizia con don Andrea Gallo, con cui condivideva la visione di una società più giusta e solidale. Insieme, hanno rappresentato un punto di riferimento per molti. Emblematico, in questo senso, il gesto di aprire il suo studio in via Martiri della Libertà, nove anni fa, per curare gratuitamente i profughi di Ventimiglia. “Ho riempito i camioncini, mobilitato i rappresentanti farmaceutici, svuotato i fondi di magazzino – raccontava – perché queste persone hanno bisogno di tutto, non solo di cibo”.

Quel gesto, semplice e potente, rimane uno degli episodi che meglio raccontano l’anima di Flavio Gaggero. Come quando accolse nel suo studio un giovane nigeriano, cieco a causa delle torture subite in Libia. “Siamo in dovere di aiutarli – diceva – anche noi siamo stati emigranti. Don Gallo lo ripeteva sempre: noi occidentali abbiamo un grosso debito verso l’Africa”.

Il legame con il Cep e il ruolo dietro le quinte della politica

Il Cep era una delle zone dove Gaggero ha lasciato il segno più profondo. Fu grazie a lui che, nel 2008, Beppe Grillo partecipò alla “Notte grigio topo”, l’alternativa popolare alla “Notte bianca” del Comune di Genova. Proprio in quell’occasione, Grillo annunciò la nascita del Movimento 5 Stelle. Un anno dopo, sempre grazie a Gaggero, fu Gino Paoli a salire sul palco del Cep.

Nonostante i frequenti contatti con il mondo politico – da Pier Luigi Bersani a Grillo, entrambi suoi clienti – Gaggero ha sempre evitato ruoli ufficiali. Preferiva restare ai margini, come facilitatore tra realtà diverse. Solo nel 2020, a 83 anni, accettò di candidarsi nella lista di Ferruccio Sansa, sostenuta da Pd, M5s e sinistra per la presidenza della Regione Liguria. Lo fece con la leggerezza che lo contraddistingueva: “Mi tormentava non sapere cosa farò da grande – raccontava ironicamente – mia moglie si è messa le mani nei capelli”.

Una lezione di umanità che resterà viva

In un tempo in cui la professione medica rischia di diventare sempre più burocratica e distante, Flavio Gaggero ha incarnato fino all’ultimo una medicina di prossimità, umana, accessibile. Era un medico di relazione, prima ancora che di competenza. Curava i denti, ma soprattutto curava le persone.

Il suo addio lascia un vuoto autentico, non retorico. Non solo a Genova, non solo tra i suoi pazienti. Ma in tutti quelli che credono ancora che la sanità – pubblica o privata che sia – possa essere strumento di giustizia sociale, e non solo un servizio a pagamento.

Non resta che raccogliere il testimone di un uomo che ha fatto del suo lavoro una missione, e della sua esistenza un esempio. La sua umanità disarmante, il suo sguardo acceso, la sua porta sempre aperta: tutto questo resterà vivo, nelle storie di chi l’ha incontrato e nelle vite che ha saputo migliorare, senza chiedere nulla in cambio.

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