
Il risultato delle elezioni a Firenze accende il dibattito interno al Partito Democratico. La neo sindaca Sara Funaro è chiara: «Il risultato ci impone una riflessione profonda». Nel cuore rosso della Toscana, il Pd ha registrato un modesto 27,6% nella circoscrizione Firenze 1, ben al di sotto della media regionale. A preoccupare i vertici è il dato di Casa Riformista, il contenitore elettorale di Matteo Renzi e della lista del presidente Eugenio Giani, che ha raccolto il 15,25%, intercettando gran parte dell’elettorato moderato.
Le dinamiche locali hanno inciso. C’è chi nel Pd accusa l’ex sindaco Dario Nardella di aver escluso candidati forti per favorire la sua area. Altri puntano il dito contro Emiliano Fossi, segretario regionale dem, reo di aver respinto inizialmente l’alleanza con la lista Giani per poi rincorrerla troppo tardi, quando l’accordo con Renzi era già siglato. La frammentazione interna e le scelte strategiche poco lungimiranti hanno così indebolito il partito proprio nel suo storico fortino.
Ma il malcontento va oltre Firenze. Per i riformisti del Pd, il problema è politico: il partito appare “schiacciato troppo a sinistra”, con una linea che molti giudicano subordinata al Movimento 5 Stelle. Anche tra i fedelissimi di Elly Schlein, come Peppe Provenzano, emerge la consapevolezza che serve una nuova gamba moderata nell’alleanza progressista. Lo ribadisce anche Walter Verini, nel giorno del 18° compleanno del Pd: «Serve un partito aperto, capace di parlare a tutto il Paese».

Un’analisi che trova eco nelle parole di Pina Picierno, che commenta il voto in chiave nazionale: «Il crollo di Lega e 5 Stelle dimostra l’inconsistenza della deriva bipopulista. Il campo progressista ha ancora il tempo di correggere la rotta su politica estera e confronto democratico». Secondo l’eurodeputata dem, è questo il momento per rilanciare una proposta che esca dalle strettoie degli estremismi.
Anche fuori dal Pd cresce l’interesse per una forza di centrosinistra riformista. Tra i più espliciti, il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che legge il voto toscano come un segnale: «In un’epoca segnata dagli estremismi, c’è spazio per una proposta moderata e riformista». Sala immagina una piattaforma in grado di unire culture diverse, con l’obiettivo di raggiungere una soglia significativa anche su scala nazionale.
«Dobbiamo puntare ad avvicinarci al 10% nazionale», aggiunge Sala. Una soglia ambiziosa ma possibile per chi crede in una forza politica laica, cattolica democratica, riformista. Da qui l’idea di una «Convenzione repubblicana» per dare forma a un nuovo soggetto politico moderato. Un progetto che potrebbe cambiare gli equilibri nel campo del centrosinistra.

I riformisti dem, però, preferiscono agire dall’interno del partito. Hanno in programma una grande iniziativa a Milano il 24 ottobre, con l’obiettivo di rilanciare un’idea di “Pd di governo”. Tra i promotori dell’evento c’è l’eurodeputato Giorgio Gori, convinto che si debba tornare a parlare di competitività, produttività, salari sostenibili, sicurezza e integrazione europea. Temi concreti, lontani dai toni ideologici che spesso dominano il dibattito interno.
Sarà una vetrina per il Pd riformista, che vuole tornare centrale nel partito e nel Paese. La lista degli ospiti non è ancora definitiva, ma una scelta simbolica è già stata fatta: “Revolution” dei Beatles sarà la colonna sonora dell’iniziativa. «È la canzone più riformista che ci sia», spiegano gli organizzatori. Un modo per rivendicare un’identità che guarda al cambiamento, ma con pragmatismo.
Il Partito Democratico si trova così a un bivio. Da una parte la linea movimentista e progressista di Schlein, dall’altra la spinta di chi chiede un ritorno al centro, a una proposta riformista capace di parlare anche all’elettorato moderato. Firenze potrebbe essere solo il primo campanello d’allarme.