
Venticinque anni fa, in una strada di campagna alle porte di Tbilisi, in Georgia, veniva ritrovato il corpo senza vita di Antonio Russo. Giornalista di Radio Radicale, Russo era in missione per documentare la seconda guerra cecena. Aveva scoperto una videocassetta che mostrava le torture dei soldati russi contro i prigionieri ceceni: un documento che avrebbe potuto incrinare la propaganda del Cremlino. Non fece in tempo a diffonderlo. Il 16 ottobre del 2000, secondo ogni ricostruzione attendibile, fu ucciso dai servizi segreti della Federazione Russa.
Oggi, nel podcast Quel che resta del giorno, Massimiliano Coccia dedica una puntata intensa e necessaria alla figura di questo reporter dimenticato, un uomo che incarnava l’essenza più pura del giornalismo radicale: libero, coraggioso, solitario. Coccia ricostruisce non solo la vita e le ultime ore di Russo, ma anche il contesto politico e mediatico che rese possibile il suo silenzio. Perché Antonio non era un inviato embedded, non parlava con il linguaggio delle cancellerie. Era un testimone scomodo, capace di guardare negli occhi la violenza e raccontarla senza filtri.
La missione di Russo rivive nel contesto di oggi
L’episodio non è solo un omaggio, ma un atto politico. In un’epoca in cui la disinformazione russa ha trovato nuovi megafoni e la guerra in Ucraina ripropone gli stessi meccanismi di propaganda, la storia di Antonio Russo torna a essere di bruciante attualità. Il suo lavoro, rimasto in gran parte sconosciuto, rivela quanto il giornalismo d’inchiesta indipendente sia ancora il bersaglio naturale dei regimi e degli apparati.
Coccia restituisce dignità e memoria a un uomo che morì per aver creduto nella verità come diritto universale. Il podcast diventa così un viaggio nella coscienza del mestiere giornalistico: un invito a non dimenticare che dietro ogni notizia, ogni testimonianza, ci sono corpi che rischiano, vite che scompaiono, storie che qualcuno cerca di cancellare.