
Da brividi quello che è successo prima dell’attentato a Sigfrido Ranucci. Probabilmente lo hanno tenuto sotto osservazione per diversi giorni, partendo comunque da Roma. Si erano nascosti tra gli alberi del prato accanto alla chiesa di Sant’Agostino — un luogo noto in passato per spaccio e traffici tra pusher romani e albanesi, ma frequentato anche da chi porta a passeggio il cane. Da lì, intorno alle 21.40, hanno aspettato che la “tutela” — la forma di scorta meno protettiva — di Sigfrido Ranucci si allontanasse, dopo averlo accompagnato alla villetta di famiglia in viale Po, a Campo Ascolano, sul litorale sud di Roma, vicino all’aeroporto militare di Pratica di Mare.
Ranucci era assente da martedì e solo pochi sapevano che sarebbe rientrato due giorni dopo. Gli autori dell’attentato — difficilmente una sola persona — erano dunque ben informati. Quella sera hanno fatto esplodere l’auto del giornalista, noto per le sue inchieste scomode e di grande risonanza, utilizzando una bomba carta ad alto potenziale.

Sigfrido Ranucci, volto noto del giornalismo investigativo italiano, ha parlato pubblicamente dopo l’attentato avvenuto nella tarda serata di ieri sotto la sua abitazione a Pomezia, dove una bomba ha distrutto l’auto sua e quella della figlia. Un gesto violento, inquietante e chiaramente intimidatorio, che ha immediatamente fatto scattare la reazione delle istituzioni, della politica e del mondo dell’informazione. Ma soprattutto, che ha costretto il giornalista a recarsi presso la compagnia dei carabinieri di via Trionfale, dove ha formalizzato una denuncia dettagliata.
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“Ho ricostruito tutto con i carabinieri – ha dichiarato Ranucci – c’è una lista infinita di minacce che ho ricevuto negli anni, di cui ho sempre informato l’autorità giudiziaria e che la mia scorta ha regolarmente segnalato”. Ma è il tono con cui racconta l’ultimo episodio a colpire: “Quello di stanotte è un salto di qualità preoccupante. È accaduto proprio davanti casa mia, dove già l’anno scorso erano stati trovati proiettili”.
Ranucci sotto attacco: le minacce e il supporto dello Stato
Il conduttore di Report non è nuovo a pressioni, intimidazioni e attacchi. “Mi sento tranquillo – ha comunque aggiunto – perché lo Stato e le istituzioni mi sono sempre stati vicini”. Parole che mostrano fiducia, ma che non riescono a nascondere la gravità crescente del contesto in cui si trova a operare chi fa giornalismo di inchiesta. Minacce, lettere anonime, tentativi di delegittimazione pubblica e oggi, una bomba. Un’escalation che non può essere derubricata come gesto isolato.

La politica si muove: chiesta audizione in Commissione Rai
L’attentato a Ranucci ha innescato una reazione politica trasversale, ma tra i più attivi si è mosso il Movimento 5 Stelle, che attraverso i propri esponenti in Commissione di Vigilanza Rai ha richiesto un’audizione urgente del giornalista: “Quanto accaduto rappresenta uno degli episodi più gravi che coinvolgono la Rai e la libertà di informazione. Il tema va portato immediatamente in Commissione per garantire che il servizio pubblico possa operare in libertà e trasparenza”.
Una posizione condivisa anche da Barbara Floridia, presidente della Commissione di Vigilanza Rai, che ha sottolineato un aspetto centrale del problema: “È da mesi che esiste un clima d’odio verso Ranucci, alimentato da partiti e politici che non si sono fatti scrupolo ad attaccare in modo pesante lui e la redazione di Report”.
Solidarietà dei giornalisti: presidio davanti alla sede Rai
In segno di solidarietà concreta, l’Usigrai – il sindacato dei giornalisti Rai – ha convocato un presidio oggi alle 16 davanti alla sede di via Teulada a Roma. Insieme all’Usigrai, saranno presenti anche Fnsi, Ordine dei Giornalisti, Associazione Stampa Romana e altri sindacati. “Un’iniziativa simbolica – si legge nella nota – per difendere la libertà di stampa e dimostrare vicinanza a un collega che svolge un lavoro essenziale per la democrazia”.
Il presidio arriva in un momento cruciale. La bomba esplosa davanti all’abitazione di Ranucci rappresenta una minaccia diretta a tutta l’informazione indipendente, e il silenzio – o la minimizzazione – rischiano di legittimare l’odio e la violenza. Il gesto criminale, infatti, colpisce non solo una persona, ma l’idea stessa di informazione libera, quella che scava, indaga, denuncia e spesso mette a nudo le zone d’ombra del potere.

Il clima che alimenta l’odio: parole che pesano
In queste ore, emerge con forza la riflessione sul linguaggio politico e sulla responsabilità delle parole. Come ha sottolineato Floridia, “Attacchi sistematici alla redazione di Report e al suo conduttore hanno contribuito a creare un clima ostile che può portare a gesti estremi. Serve un’inversione di rotta”. È una chiamata alla responsabilità: criticare un’inchiesta è legittimo, ma delegittimare chi la realizza è un altro discorso. Un discorso che, in un contesto già avvelenato, può diventare pericoloso.
Un campanello d’allarme per la democrazia
L’attentato a Ranucci non può essere archiviato come un semplice fatto di cronaca nera. Si tratta di un attacco diretto a un simbolo dell’informazione pubblica, in un momento in cui i media sono sempre più sotto pressione. La libertà di stampa, valore fondante di ogni democrazia, viene qui messa alla prova con la forza e il fuoco. Ma la risposta che arriva dal mondo politico e sindacale sembra netta: difendere Ranucci significa difendere un principio non negoziabile.
Il giornalista, lasciando la caserma dei carabinieri, ha ribadito con pacatezza e determinazione il suo impegno: “Io continuo a fare il mio lavoro. Non ho nulla da rimproverarmi. E non ho intenzione di fermarmi”. Un messaggio chiaro, in un’Italia che oggi si interroga su quanto sia davvero libera l’informazione.