
Accade spesso quando si toccano temi internazionali di forte impatto politico ed emotivo. Accade ancora più facilmente quando a confrontarsi sono due figure agli antipodi del dibattito pubblico italiano, come Italo Bocchino e Corrado Formigli. Da un lato, un ex parlamentare vicino alla destra di governo e convinto sostenitore delle posizioni israeliane; dall’altro, un giornalista di lungo corso, considerato una delle voci più critiche della sinistra progressista in televisione.
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Lo scontro, ormai diventato quasi consueto, si è consumato ancora una volta nel corso di Piazza Pulita, la trasmissione di approfondimento politico condotta da Formigli su La7. Al centro della discussione, il conflitto in Medio Oriente, le posizioni del governo israeliano e, soprattutto, il difficile equilibrio tra critica politica e accuse di antisemitismo. Una combinazione che ha generato un confronto acceso, dove le parole sono diventate armi retoriche.
La tensione in studio e la domanda provocatoria
Tutto è cominciato quando si è affrontato il delicato tema della tregua tra Israele e Hamas, e del modo in cui l’opinione pubblica internazionale — e italiana — interpreta le azioni del governo israeliano dopo l’attentato del 7 ottobre di due anni fa. Formigli, rivolgendosi direttamente a Bocchino, ha lanciato una provocazione carica di tensione:
“Io stesso vengo trattato da antisemita sui social, solo perché critico Israele. Pensa che io sia antisemita?”
Una domanda diretta, forse retorica, ma carica di significato. Una domanda che ha scatenato la risposta immediata e senza giri di parole da parte di Italo Bocchino, collegato con lo studio e pronto a replicare con fermezza.

La replica di Bocchino: “Non antisemita, ma antisionista”
La controffensiva dell’ex deputato non si è fatta attendere. Con tono pacato ma fermo, Bocchino ha risposto smontando quella che ha definito una narrativa fuorviante:
“Quando critica Israele è antisionista.”
Una distinzione netta, che però ha riacceso lo scontro. Il termine antisionismo, infatti, è spesso considerato da molti osservatori una forma camuffata di opposizione all’esistenza dello Stato di Israele, mentre per altri rappresenta semplicemente la critica alle scelte politiche e militari di un governo. Una zona grigia che, in questo caso, si è trasformata in terreno di scontro.
La risposta di Formigli: “Non sono antisionista, sono contro Netanyahu”
Il confronto è proseguito su toni serrati. Formigli ha voluto subito chiarire la sua posizione, respingendo con decisione l’etichetta di antisionista e spostando l’asse della discussione:
“Lei sbaglia, io non sono antisionista, io sono contro Netanyahu e questa guerra.”
Parole che spostano il discorso dalla natura dello Stato di Israele alla politica del governo in carica, guidato da Benjamin Netanyahu, e alla gestione del conflitto. Una distinzione importante, almeno nelle intenzioni del conduttore, che vuole rivendicare il diritto alla critica senza essere automaticamente associato a posizioni ideologiche estreme.
Un confronto che riflette la frattura culturale
L’episodio andato in onda su La7 non è solo un battibecco tra due protagonisti del talk televisivo italiano. È, piuttosto, lo specchio di una frattura culturale e politica che attraversa il dibattito pubblico: da un lato chi difende senza riserve l’identità e la sicurezza dello Stato di Israele, dall’altro chi ne contesta l’operato militare e diplomatico, pur riconoscendone l’esistenza.
Il problema nasce quando la critica — anche legittima — viene percepita come un attacco più profondo. In questo spazio incerto si inserisce la parola “antisemitismo”, spesso evocata, raramente spiegata, e usata con significati diversi. La distinzione tra legittima opposizione politica e pregiudizio etnico o religioso è oggi più che mai sottile e difficile da tracciare.
Il rischio di polarizzazione nel dibattito pubblico
Questo tipo di confronto, sebbene ricco di contenuti e posizioni, rischia spesso di scivolare nella polarizzazione. Il dibattito si cristallizza in etichettature ideologiche che non lasciano spazio alla complessità, mentre i temi più delicati — come la guerra, i diritti umani, il terrorismo e la libertà di critica — vengono ridotti a battaglie dialettiche in diretta TV.
Il caso Formigli-Bocchino è l’ennesimo esempio di quanto sia difficile oggi parlare di Israele e Palestina senza incorrere in semplificazioni o giudizi sommari. E, allo stesso tempo, dimostra quanto sia necessario mantenere uno spazio pubblico capace di accogliere il dissenso e di distinguere tra ciò che è opinione e ciò che diventa discriminazione.


