
Il presidente uscente del Veneto Luca Zaia, in un’intervista al Corriere, ha confermato la sua decisione di candidarsi, pur riconoscendo che ogni ciclo ha una fine. Nonostante la nostalgia e i tanti progetti che avrebbe voluto ancora realizzare, rispetta le leggi che gli hanno vietato di ricandidarsi a presidente.
Il bilancio dei quindici anni
Dei suoi 15 anni di governo, Zaia non indica solo infrastrutture, autonomia o sanità, ma pone l’accento sull’esperienza del Covid-19 come banco di prova amministrativo e umano. Ricorda con orgoglio la scelta impopolare di chiudere tutto e l’imposizione dei tamponi obbligatori, agendo contro la normativa nazionale del tempo. Per quanto riguarda un’opera concreta, cita le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026. Ammette di non aver avuto titolo inizialmente, essendo la candidatura solo di Milano, ma si è inserito scommettendo su un conflitto tra Piemonte e Milano e presentando a sorpresa la sua candidatura all’ultimo giorno utile al CIO a Losanna.
La scelta della candidatura
Zaia ha riflettuto a lungo, affermando di rispettare ruoli e tempi. La decisione di candidarsi è giunta a causa dei veti sulla sua lista e sul suo nome nel simbolo, che ha definito inauditi in democrazia. Ha deciso di candidarsi per “andare alla conta” e trasformarsi in un problema in questo modo. Sottolinea di non avercela con nessuno, ma di candidarsi perché glielo chiedono tanti cittadini che non si riconoscono nei partiti. La Lista Zaia aveva raggiunto il 44% nel 2020, un bacino che ora è un contenitore per elettori di varia provenienza; non sfruttare questo patrimonio sarebbe, a suo dire, un errore.
Zaia nega presunzione o vanità personale nella sua scelta, affermando di candidarsi per consentire ai cittadini di lanciare un segnale forte. Molti veneti non hanno gradito i veti su di lui e i consensi che i sondaggi gli riservano non possono essere trascurati.
I veti dal centrodestra e i rapporti con la coalizione
I veti arrivano dal centrodestra, ma Zaia ha un ottimo rapporto con la coalizione e apprezza il lavoro di Giorgia Meloni, soprattutto sul piano internazionale. Tuttavia, non accetta di essere considerato un problema dopo 15 anni di buongoverno e ritiene che il valore di ciò che è stato fatto non possa essere dimenticato. Sulla possibilità di diventare presidente del Consiglio regionale, risponde di non avere nulla in mente, citando il detto “El can de tanti paroni more de fame” (il cane di tanti padroni muore di fame) per sottolineare che i voti bisogna andarli a prendere. Prevede che la campagna nel centrodestra sarà molto combattuta, casa per casa, ma la vede come una grande opportunità per la coalizione.
La Lega e il primato
Non ha la “palla di vetro” sul fatto che la sua candidatura possa far recuperare alla Lega il primato ai danni di Fratelli d’Italia, ma è certo che “venderanno cara la pelle”.
Alle richieste di un ruolo nel partito, come quella di Attilio Fontana, Zaia risponde che “siamo tutti utili purché ci sia sintonia sui valori e gli obiettivi“. Riconosce che la Lega ha vissuto periodi migliori e peggiori, e paragona la situazione all’essere un bravo surfista che sa che dopo l’onda ci si può schiantare e sta attento, a differenza di chi non sa surfare e pensa che l’onda duri per sempre. Ringrazia Fontana, che definisce un bravo amministratore e persona per bene, e afferma che il suo contributo lo sta dando candidandosi in Veneto e cercando di far ottenere il massimo alla Lega, sottolineando la necessità di ragionare come in una grande famiglia.
Sull’ingresso di Roberto Vannacci, Zaia afferma che la Lega è un partito inclusivo, e il dibattito è sacrosanto, ma l’identità e i valori autentici della Lega non possono essere negoziati. Ha rilanciato a Pontida l’idea di copiare il modello Cdu-Csu tedesco, di cui ha parlato più volte con Salvini, considerandolo vincente per superare questione settentrionale e questione meridionale e un contributo utile a tutti i partiti.
Sul suo futuro, conclude che adesso l’obiettivo è prendere i voti in Veneto, ma qualcosa farà di sicuro.