
Sigfrido Ranucci, giornalista noto per la conduzione del programma Report, è stato vittima di un gravissimo atto intimidatorio nella notte tra il 16 e il 17 ottobre. Una bomba ha distrutto l’auto del giornalista e quella della figlia, parcheggiate sotto casa, a Pomezia, in provincia di Roma. L’ordigno aveva un potenziale letale: chiunque si fosse trovato nelle vicinanze avrebbe potuto morire. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito. Ma resta altissima la tensione per un episodio che scuote profondamente il mondo dell’informazione e riapre il dibattito sulla sicurezza di chi fa giornalismo investigativo in Italia.
Leggi anche: Bomba contro Sigfrido Ranucci, distrutte le auto del giornalista e della figlia: “Potevano uccidere me e lei”. Le reazioni del mondo della politica
Leggi anche: “Preoccupante…” . Il tragico sospetto di Ranucci dopo l’attentato: con chi ce l’ha
Le forze dell’ordine – carabinieri, Digos, vigili del fuoco e polizia scientifica – sono intervenute sul posto. Le indagini sono ancora in corso e, per ora, il fascicolo resta a carico di ignoti. Ma il gesto ha già fatto scattare una valanga di reazioni politiche, che hanno un comune denominatore: la solidarietà piena a Ranucci e la condanna totale di ogni forma di violenza e intimidazione contro la stampa.
Leggi anche: “Parole gravissime!”. Attentato a Ranucci, polemica furiosa contro La Russa
La bomba davanti casa, un atto che poteva uccidere
L’ordigno che ha distrutto le due vetture della famiglia Ranucci non era un semplice petardo. Secondo i primi rilievi tecnici, si è trattato di un ordigno esplosivo artigianale, ma con una carica sufficiente a causare morti o gravi feriti. Per questo, da subito, è stato definito un gesto “potenzialmente letale” da fonti investigative. L’esplosione è avvenuta durante la notte, in una zona residenziale, mentre in casa dormivano Ranucci e la sua famiglia.
A rendere ancora più inquietante l’episodio è il contesto: Ranucci ha ricevuto in passato minacce, proiettili per posta, pedinamenti, pressioni e richieste di sospensione della sua trasmissione. Un escalation di intimidazioni che, oggi, sembra aver raggiunto un livello drammatico. Il giornalista aveva già parlato pubblicamente di un “clima di delegittimazione” crescente nei suoi confronti e verso tutta la redazione di Report.

Reazioni istituzionali e politiche: solidarietà da Meloni a Salvini
Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni è intervenuta con un messaggio netto: “Piena solidarietà a Sigfrido Ranucci e ferma condanna per il grave atto intimidatorio da lui subito. La libertà e l’indipendenza dell’informazione sono valori irrinunciabili delle nostre democrazie, che continueremo a difendere”.
Anche il vicepremier Matteo Salvini, leader della Lega, ha espresso pubblicamente il suo sostegno: “Quanto successo a Pomezia è di una gravità inaudita e inaccettabile. Totale solidarietà a Ranucci e alla sua famiglia”. Parole forti anche dal ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha definito l’attentato “un atto che colpisce non solo un giornalista, ma la libertà stessa di informare”.
Il vicepremier Antonio Tajani ha sottolineato: “Non esiste motivazione che possa giustificare questa violenza. Piena solidarietà a Ranucci e alla sua famiglia”.
Dure critiche dal centrosinistra: “Clima di odio alimentato da anni”
Dal fronte progressista arrivano commenti di condanna, ma anche denunce politiche più mirate. Il leader di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli, ha ricordato che Ranucci aveva già lanciato allarmi pubblici su minacce e pedinamenti: “Chi ha attaccato Ranucci negli anni rifletta e chieda scusa. Alimentare campagne di delegittimazione contro chi fa inchieste coraggiose significa rendere possibile un clima d’odio che oggi esplode in tutta la sua gravità”.
Alessandro Di Battista, ex parlamentare del Movimento 5 Stelle, ha parlato senza mezzi termini di un attacco alla democrazia: “Quando le istituzioni delegittimano chi denuncia mafia e corruzione, qualcuno si sente autorizzato a colpire. Mi auguro che tutte le alte cariche dello Stato esprimano massima solidarietà a un giornalista perbene che stanotte sarebbe potuto morire”.
Molti utenti in rete hanno interpretato queste parole come precisi attacchi al governo Meloni, scatenando un acceso dibattito sui social. Gli italiani si sono divisi tra chi ha chiesto di abbassare i toni e chi ha tuonato: “Non si può strumentalizzare un episodio del genere per andare contro il governo, vergogna”.

Informazione sotto attacco: libertà da difendere con fermezza
L’attentato contro Ranucci arriva in un momento storico in cui il giornalismo d’inchiesta è sempre più sotto pressione. Tra querele temerarie, tentativi di censura e attacchi sui social, chi svolge un lavoro di denuncia e approfondimento si trova esposto a rischi crescenti. La redazione di Report è da anni un bersaglio privilegiato, proprio per la sua attività d’inchiesta su temi sensibili del potere politico, economico e criminale.
Oggi, la violenza contro Ranucci sembra segnare un ulteriore salto di qualità in questa spirale. È quindi ancora più urgente che lo Stato assicuri protezione a chi fa informazione, e che la politica si dissoci in modo netto da ogni forma di delegittimazione verso il giornalismo libero.
Clima teso e silenzi preoccupanti
In queste ore, accanto ai messaggi di solidarietà, si levano anche voci preoccupate per il silenzio di alcune figure pubbliche che in passato non avevano risparmiato critiche e attacchi a Ranucci e alla trasmissione Report. In un momento tanto delicato, il confine tra critica legittima e alimentazione dell’odio si fa sottile.
Tutti gli attori istituzionali – a destra e a sinistra – sono chiamati a una riflessione profonda: ogni parola pesa, ogni attacco non motivato può diventare miccia. La sicurezza dei giornalisti non può essere affidata solo alla legge o alla polizia. Serve anche un patto sociale che riporti al centro i valori della libertà d’espressione e della trasparenza democratica.