
Quando Donald Trump è atterrato ad Anchorage, in Alaska, lo scorso ferragosto, si aspettava che ci fosse davvero la possibilità di un accordo con Vladimir Putin per porre fine alla guerra in Ucraina. Ma, come racconta il Financial Times, il faccia a faccia si è trasformato in un duro confronto: il leader russo avrebbe respinto l’offerta americana e iniziato a impartire al presidente statunitense «una lezione di Storia». Un episodio che oggi assume grande rilievo, in vista del prossimo vertice Trump-Putin, previsto «tra un paio di settimane» a Budapest.
Il gelo dietro le porte chiuse
All’arrivo, Putin era stato accolto con un tappeto rosso e un clima apparentemente cordiale, tra sorrisi, strette di mano e pacche sulle spalle. Ma, come riferiscono le fonti del quotidiano, una volta chiuse le porte, l’atmosfera è cambiata radicalmente. Putin avrebbe rifiutato l’offerta americana di rimuovere le sanzioni in cambio di un cessate il fuoco, sostenendo che la guerra finirà solo «quando l’Ucraina si arrenderà e cederà i territori nel Donbass». Poi avrebbe iniziato a parlare di antichi principi medievali come Rurik di Novgorod e Jaroslav il Saggio, oltre che di figure storiche cosacche come Bohdan Khmelnytsky, per ribadire la sua tesi secondo cui Russia e Ucraina sono «una sola nazione».

La reazione di Trump e il fallimento del vertice
Secondo il Financial Times, Trump sarebbe rimasto sorpreso e infastidito dal tono del leader russo. In più occasioni avrebbe alzato la voce e, irritato, minacciato di lasciare il tavolo. Alla fine ha deciso di accorciare l’incontro, cancellando il pranzo con le delegazioni allargate che avrebbero dovuto discutere di cooperazione economica. I giornalisti si sono precipitati in anticipo alla conferenza stampa, dove il presidente americano ha cercato di minimizzare, spiegando che l’incontro aveva comunque «preparato la scena» per futuri negoziati. Tuttavia, quell’episodio sembra aver avuto un effetto imprevisto: secondo alcune fonti diplomatiche, Trump sarebbe ora più incline a sostenere Kiev, cercando al tempo stesso nuovi punti di pressione su Putin.
Diplomazia, sanzioni e prospettive di pace
Nonostante le tensioni, Trump non considera il vertice un fallimento. Pur vendendo armi agli alleati della NATO e avendo imposto dazi del 25% sui prodotti indiani per la loro collaborazione con Mosca, il presidente non ha ancora autorizzato l’invio di missili a lungo raggio Tomahawk, né le sanzioni secondarie più dure contro la Russia, chieste da molti repubblicani al Congresso. Secondo la sua portavoce, Karoline Leavitt, «il presidente americano crede ancora che sia possibile porre fine con la diplomazia a questa guerra». Tuttavia, i diplomatici europei restano scettici. Già prima del vertice avevano criticato l’inviato speciale Steve Witkoff, accusandolo di aver sopravvalutato la disponibilità di Putin al dialogo. Durante il summit in Alaska, infatti, il presidente russo si sarebbe mostrato inflessibile: Mosca avrebbe accettato soltanto di “congelare” la linea del fronte nelle zone non ancora conquistate, pretendendo che Zelensky rinunciasse all’intero Donbass. A oggi, non ci sono segnali che, in vista del prossimo incontro di Budapest, Putin sia pronto a concessioni.