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La truffa di Elly Schlein: inventa un nemico per inventare sé stessa

Pubblicato: 18/10/2025 13:48

Elly Schlein ha detto che la democrazia è a rischio. Ancora. Come se non potesse fare a meno di pronunciarlo ogni volta che apre bocca. È diventata una formula di sopravvivenza, un automatismo, quasi un tic politico: “La libertà è in pericolo”. Lo ripete a ogni intervista, a ogni replica, a ogni atto del governo. Ma più che un’analisi è un sintomo: la paura come identità, la crisi come ossigeno.

È qui che si manifesta la truffa di Schlein. Non perché menta, ma perché usa la paura come strumento di autodefinizione. Non difende la democrazia, la sfrutta come palcoscenico della propria insicurezza politica. Ha bisogno del pericolo per sentirsi reale, del conflitto per sentirsi utile, dell’allarme per sembrare necessaria. Se la realtà non offre un nemico, se lo inventa. È una dipendenza. E come ogni dipendenza, non ha più a che fare con la ragione ma con la sopravvivenza.

È la vecchia sindrome resistenziale, che da decenni abita una certa sinistra: senza un regime da combattere, perde la propria ragion d’essere. Non è un fatto ideologico, è un trauma irrisolto. La sinistra italiana non ha mai elaborato la fine del Novecento, il crollo delle grandi narrazioni, la perdita del suo eroismo morale. Vive nel lutto eterno della Resistenza, e ha bisogno di rivivere ogni giorno quel brivido di minaccia per sentirsi ancora nobile. La storia è finita, ma il suo inconscio non se n’è accorto.

Ecco allora perché ogni parola della premier diventa un segnale d’allarme. Ogni riforma è “autoritaria”, ogni decreto “liberticida”, ogni divergenza “un attacco alla Costituzione”. È un linguaggio compulsivo, un copione già scritto. Niente è mai normale: tutto deve essere emergenza. Perché nella normalità la Schlein si dissolve. L’ordinario la priva di scopo, la democrazia stabile la priva di identità. È una psicologia politica fondata sul pericolo: se non c’è un rischio, lo si produce.

Questo spiega anche perché, quando governa il centrosinistra, il suo linguaggio perde forza. Non può più urlare alla catastrofe, e allora si smarrisce. È un meccanismo quasi clinico: si alimenta del male dell’altro per non guardare al proprio vuoto. La Schlein non ha bisogno di vincere, ha bisogno che qualcuno vinca contro di lei per poter dire di resistere. E quando non accade, deve fabbricare l’illusione del pericolo, costruire la minaccia, evocare l’autoritarismo.

Ma così la parola “democrazia” si consuma, la parola “libertà” si svuota. Diventano termini terapeutici, non politici. Si ripetono come formule di autoipnosi, per mascherare l’assenza di idee. Perché la verità è che la Schlein non parla al Paese: parla al suo trauma, alla nostalgia del nemico, alla paura di non contare più. In questo senso, la sua battaglia non è contro Meloni, ma contro il silenzio.

E c’è una crudeltà, quasi freudiana, in tutto questo. Perché più denuncia il pericolo, più ne ha bisogno. Più evoca la crisi della democrazia, più scompare dentro quella crisi che lei stessa crea. È un circuito vizioso, ma comodo: permette di gridare senza costruire, di denunciare senza proporre, di sentirsi moralmente superiori senza mai rischiare la concretezza.

È qui che la sua retorica si fa pericolosa, perché trasforma la paura in abitudine. E un Paese abituato alla paura smette di riconoscere la realtà. Se tutto è allarme, nulla è davvero urgente. Se ogni governo è un regime, allora nessuno lo è più. È il paradosso finale della sindrome resistenziale: banalizzare il male, evocandolo di continuo.

E allora sì, Elly Schlein, la democrazia è davvero a rischio. Ma non per colpa di chi governa. Lo è per colpa di chi, per sopravvivere, deve immaginare un tiranno ogni giorno. È questa la tua truffa, la più perfetta e la più psicologica: inventa un nemico per inventare te stessa.

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