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Elly Schlein, l’attacco a Giorgia Meloni che apre la campagna Pd sul referendum

Pubblicato: 19/10/2025 08:45

È stato un attacco a freddo, lucido e premeditato quello che Elly Schlein ha rivolto a Giorgia Meloni dal palco del congresso dei socialisti europei ad Amsterdam. L’accusa è pesante: «Libertà e democrazia sono a rischio con l’estrema destra al governo». A sottolineare la gravità delle parole della segretaria del Pd ha contribuito anche la scenografia simbolica del congresso, che si è chiuso sulle note partigiane di Bella ciao, trasformando un evento internazionale in una platea perfetta per un messaggio politico tutto italiano.

La mossa della segretaria dem non è estemporanea: Schlein ha un obiettivo preciso e guarda a un autunno incandescente, preludio a un inverno ancora più acceso in vista della primavera 2026, quando gli italiani saranno chiamati al voto sul referendum costituzionale che sancirà o respingerà il ddl sulla separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante. Il testo dovrebbe ottenere il via libera definitivo dal Senato entro il 30 ottobre, aprendo ufficialmente la sfida referendaria.

Si tratta di un referendum senza quorum, ma dall’esito tutt’altro che scontato. Una vittoria per il No permetterebbe a Schlein di mettere un primo mattone per una possibile rivincita del centrosinistra alle elezioni politiche del 2027. Ma per ottenere consenso, il Pd dovrà evitare due errori: non perdersi nei tecnicismi della riforma e non appiattirsi sulle posizioni della magistratura, come avverte la stessa segretaria. Il campo da gioco è politico, non giuridico.

La strategia è chiara: mobilitare l’elettorato progressista, parlando un linguaggio semplice e diretto. Lo spiega anche il senatore Andrea Giorgis, esponente Pd in Commissione Affari Costituzionali: «Dobbiamo far capire che questa riforma è un passo verso una democrazia totalitaria, quella della destra, secondo cui chi vince può tutto». Il messaggio punta a smuovere la base dem e a portarla al voto contro quella che viene descritta come una deriva autoritaria.

Schlein non vuole farsi superare a sinistra da Giuseppe Conte e per questo ha alzato il volume dello scontro politico. Anche se è certo che il referendum si terrà – la maggioranza non ha i numeri per approvare la riforma con i due terzi delle Camere – il Pd non resterà spettatore. Anzi, si prepara a presentare formalmente la richiesta di consultazione popolare, con l’appoggio di un quinto dei parlamentari. La battaglia è già iniziata, e Schlein intende guidarla in prima linea.

Il Partito Democratico lavora da tempo a questa sfida. Lo confermano le dichiarazioni dei big del partito, da Francesco Boccia a Dario Franceschini, che già a luglio avvertiva dalle colonne del Corriere della Sera: «Bisogna fermare le pericolose tentazioni autoritarie della destra». Anche Debora Serracchiani definisce il ddl «un attacco diretto alla nostra democrazia», mentre Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera, parla di «un colpo alla Costituzione nata dalla Resistenza antifascista».

Ma oltre alla mobilitazione della base storica, la segreteria dem guarda anche oltre. L’obiettivo è ampliare il fronte referendario, coinvolgendo anche moderati, cattolici democratici e reti civiche, per dare forma a un nuovo campo largo. Non si tratta solo di tendere la mano a Matteo Renzi, già pronto a giocare un ruolo, ma anche di guardare a figure come Ernesto Maria Ruffini, impegnato nella costruzione del movimento Più Uno e nella rete di sindaci e amministratori civici che sarà presentata a Roma.

Il referendum del 2026 si delinea quindi come uno spartiacque non solo istituzionale, ma politico e culturale. Da una parte il progetto di Meloni e della destra, volto secondo Schlein a «centralizzare il potere» e trasformare il sistema democratico. Dall’altra un Pd che si propone come argine costituzionale, intento a difendere i principi antifascisti e a rilanciare la sua centralità nello scenario politico nazionale. La sfida durerà mesi, ma ieri Schlein ha già premuto il primo grilletto.

Quel grilletto ha il suono nitido di un allarme lanciato con forza: la democrazia è in pericolo. Un messaggio che la leader dem intende trasformare in una campagna di lunga durata, capillare, fatta di eventi, piazze, social, alleanze. Il referendum si profila come il vero banco di prova della sua leadership. E forse anche come l’unica occasione per tentare, davvero, di rovesciare i rapporti di forza in vista del 2027.

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