
Pamela Genini si poteva salvare? Una domanda che da giorni rimbomba su tutti i media, tra giornali, social e televisione, dopo l’ennesimo femminicidio avvenuto in un appartamento di Milano. La sera del 15 ottobre, la 29enne è stata trascinata per i capelli da Gianluca Soncin, suo ex compagno, sul balcone di casa e lì accoltellata oltre trenta volte. Una violenza brutale, maturata dopo anni di soprusi, abusi psicologici, aggressioni e minacce che, col senno di poi, raccontano una spirale pericolosa mai davvero interrotta.
Con il passare dei giorni, a emergere è il ritratto inquietante di una relazione malata. Ex fidanzati, amici e conoscenti hanno ricostruito un mosaico fatto di episodi gravi e continui, troppo spesso rimasti impuniti o ignorati. Si parla di pestaggi, minacce con armi, violenze sessuali, e perfino dell’uso di sostanze stupefacenti per soggiogare la volontà della vittima. Pamela, secondo una testimonianza, veniva drogata per impedirle di reagire e per costringerla a rapporti sessuali non protetti.

È stato proprio un ex compagno della vittima — che mantenne un rapporto d’amicizia con lei anche dopo — a raccontare i dettagli più agghiaccianti. Soncin, secondo il suo racconto, avrebbe fatto uso di Contramal e Xanax, somministrandoli alla giovane per abusarne sessualmente. L’obiettivo era chiaro: renderla incinta, «a ogni costo», contro la sua volontà. Una gravidanza ci fu, ma Pamela decise di interromperla. «Un figlio da lui non lo voleva», ha confidato l’ex.
Il fratello della vittima, Nicola Genini, ha espresso tutto il suo dolore e la sua frustrazione. In un’intervista al Corriere della Sera, ha dichiarato di aver scoperto molte cose solo dopo la tragedia, leggendo gli articoli. E si chiede, insieme a tanti altri: lo Stato ha fatto tutto il possibile per proteggerla? Il riferimento è a un episodio avvenuto il 3 settembre, quando Pamela si recò in ospedale dopo un’aggressione.

Secondo Nicola, lì sarebbe dovuta partire la procedura antiviolenza, indipendentemente dalla denuncia formale della vittima. «Se non l’ha fatto lei, dovevano farlo i medici», sostiene. Ma la Procura di Ravenna ha una visione diversa: il procuratore Daniele Barberini ha spiegato che quel giorno, a Cervia, si trattò di una “lite senza risvolti penali”. La casa era in ordine, Pamela non volle sporgere denuncia né ricevere cure immediate.