
È morta dopo quasi tre mesi di agonia Nadia Khaidar, la donna di 50 anni brutalmente aggredita dal suo ex compagno il 27 luglio scorso a Bologna. Dopo un lungo ricovero in ospedale, le sue condizioni non sono mai migliorate. Come riporta Il Resto del Carlino, la 50enne marocchina non ce l’ha fatta: le ferite riportate nell’aggressione sono state fatali.
Quel giorno, in una domenica d’estate, Redouane Ennakhali, 44 anni, connazionale della vittima e già noto alle forze dell’ordine, l’ha aspettata sotto casa nel quartiere Santa Viola. Quando l’ha vista uscire, l’ha speronata con l’auto e poi si è accanito su di lei con calci, pugni e coltellate. Un attacco feroce, brutale, culminato con la donna lasciata a terra, il volto irriconoscibile, in una pozza di sangue e vetri rotti.
Nadia lavorava come impiegata in un hotel di Bologna. Aveva chiuso la relazione con Ennakhali, ma lui non accettava la fine della storia. Secondo quanto emerso, più volte aveva cercato di riallacciare i rapporti, ricevendo sempre un netto rifiuto. Quel “no” ha scatenato la furia omicida dell’uomo.
Subito dopo l’aggressione, la donna era stata trasportata d’urgenza all’ospedale Maggiore, dove è rimasta per settimane in terapia intensiva. Le condizioni erano apparse disperate fin da subito. Successivamente è stata trasferita presso la struttura sanitaria di Santa Viola, ma non ha mai ripreso conoscenza.
Nel frattempo, l’aggressore è stato arrestato dai carabinieri del Radiomobile. L’uomo si era allontanato dalla scena del crimine ma è stato rintracciato e bloccato poco dopo. Inizialmente accusato di tentato omicidio, ora con la morte di Nadia l’accusa è stata riformulata: omicidio volontario.
A coordinare l’inchiesta è il pubblico ministero Domenico Ambrosino. Gli inquirenti stanno ricostruendo nel dettaglio la storia della coppia, fatta di tensioni, minacce e rifiuti, come accade in tante altre vicende di violenza di genere dove la volontà della donna di ricostruirsi una vita autonoma diventa il pretesto per l’odio.
A lanciare l’allarme erano stati i vicini di casa, richiamati dalle urla strazianti provenienti dall’abitazione che Nadia divideva con una cugina e il nipote. Quando i carabinieri sono arrivati, hanno trovato la donna esanime sul pavimento. Un’immagine che i soccorritori non dimenticheranno facilmente.
La morte di Nadia riapre il dibattito sulla prevenzione della violenza domestica, sull’efficacia delle misure di protezione per le donne che scelgono di uscire da relazioni tossiche. Una tragedia annunciata? Una morte evitabile? Sono le domande che in queste ore si fanno familiari, attivisti e cittadini comuni.
L’ennesimo femminicidio che si aggiunge a una lunga lista, in un’Italia dove ogni due o tre giorni una donna muore per mano di un uomo che diceva di amarla. Nadia Khaidar aveva solo 50 anni, una vita normale, un lavoro, una casa. Nulla che giustifichi tanta violenza, nulla che spieghi una morte così crudele.