
È caccia al reperto decisivo per risalire agli autori dell’attentato contro Sigfrido Ranucci, il giornalista e volto di punta della trasmissione Report. I carabinieri del Ris stanno analizzando i frammenti dell’ordigno che giovedì sera ha gravemente danneggiato le sue due auto, parcheggiate davanti alla casa del giornalista a Campo Ascolano, sul litorale romano. I primi rilievi indicano l’uso di circa un chilo di polvere da sparo compressa, elemento cruciale per stringere il cerchio attorno ai responsabili.
Secondo gli investigatori, chi ha piazzato l’esplosivo conosceva bene le abitudini del giornalista. Ranucci era appena rientrato nella villetta quando, alle 22:17, è avvenuta l’esplosione. Il dispositivo artigianale sarebbe stato lasciato acceso tra due vasi all’ingresso. Un testimone ha visto una persona incappucciata allontanarsi poco prima dell’esplosione, forse attesa da un complice tra gli alberi vicini. I carabinieri stanno esaminando l’area alla ricerca di telecamere di sorveglianza che possano aver ripreso movimenti sospetti.

L’ipotesi più accreditata resta quella dell’attentato su commissione, forse collegato a organizzazioni criminali locali. Tuttavia, gli investigatori non escludono nessuna pista. Ranucci aveva già denunciato minacce ricevute via mail dopo inchieste legate agli anni di piombo, tra cui gli omicidi di Piersanti Mattarella e Aldo Moro. In uno di quei messaggi, qualcuno scriveva: «Se continui a dare notizie su Moro ti ammazziamo».
Con la Procura antimafia di Roma e i carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati, Ranucci ha condiviso da subito una serie di elementi che considera «tracce importanti». Secondo il giornalista, questi indizi riconducono sempre «agli stessi ambiti», vale a dire a soggetti o ambienti già coinvolti in minacce precedenti legate alle inchieste di Report. Tra le ipotesi al vaglio, anche quella che l’esplosione sia stata una forma di intimidazione preventiva, destinata a fermare servizi ancora non andati in onda.

Nel frattempo, Ranucci è stato travolto da una valanga di solidarietà. Dalla politica alle istituzioni, dai colleghi ai cittadini comuni, sono arrivate migliaia di messaggi di vicinanza. «La tensione c’è, sicuramente, perché c’è stato un salto di qualità nelle minacce – ha ammesso – ma anche una soddisfazione profonda per tutto l’affetto che sto ricevendo». Il giornalista ha anche raccontato di aver ricevuto offerte di cittadinanza onoraria da tre Comuni, e altre sarebbero in arrivo.
Le reazioni istituzionali non si sono fatte attendere: Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio, Corte dei Conti, ANM, sindaci e parlamentari hanno espresso preoccupazione e sostegno. La vicenda è rimbalzata anche sulle testate internazionali, e Ranucci ha ricevuto richieste di interviste da tutto il mondo. «L’unico precedente che mi viene in mente per una tale mobilitazione è quello per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin», ha detto commosso.
Davanti all’abitazione del giornalista si è tenuto un presidio spontaneo organizzato dalla rete “No Bavaglio”, con la partecipazione di circa 400 persone. Un segnale forte di reazione civile contro un gesto che punta chiaramente a colpire la libertà di stampa e il diritto all’informazione. «È bello essere considerato cittadino di tutti», ha commentato Ranucci.
Nonostante tutto, il conduttore non si ferma. Sta lavorando in parallelo al nuovo ciclo di Report, in partenza il 26 ottobre su Rai3. «A metà settimana annunceremo i temi della prima puntata», ha dichiarato. Un impegno professionale che continua, con la determinazione di chi ha scelto di non farsi intimidire.
Le indagini proseguono serrate, con la speranza che il residuo dell’ordigno possa contenere una “firma chimica o genetica” utile a risalire agli esecutori. La macchina investigativa è in moto, ma la sensazione – per chi osserva da fuori – è che si stia giocando una partita più grande: quella tra verità e paura, tra giornalismo e minaccia.