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“Vertice d’urgenza”. Caos nel governo, ministri contro Giorgia Meloni: la premier costretta a correre ai ripari

Pubblicato: 19/10/2025 09:14

È scoppiata la rivolta dei ministri nel cuore dell’esecutivo: la manovra economica 2025 ha innescato una frattura interna che costringe la premier a correre ai ripari. Alcuni membri del governo contestano apertamente l’impostazione del testo e denunciano l’utilizzo di un algoritmo come criterio per determinare i tagli, senza una reale condivisione politica. Il malcontento è esploso nelle ultime ore, rendendo inevitabile la convocazione di un vertice d’urgenza a Palazzo Chigi.

La premier ha convocato per oggi i ministri contrari, nel tentativo di ricompattare la maggioranza e disinnescare una crisi che rischia di compromettere l’equilibrio dell’esecutivo. La gestione della manovra, secondo i critici interni, è stata condotta con freddezza tecnica, «con un foglio Excel», lamenta uno dei dissidenti, mettendo in secondo piano le priorità sociali e territoriali. Un’accusa pesante, che apre un fronte inaspettato nel cuore della coalizione.

Nel mirino dei ministri ribelli c’è soprattutto l’assenza di confronto politico: il documento sarebbe stato definito con criteri numerici, senza tenere conto delle conseguenze sui territori. I tagli colpirebbero in modo indiscriminato sanità, scuola e fondi per lo sviluppo locale. A detta di molti, l’approccio rischia di alienare consensi anche all’interno dello stesso elettorato di centrodestra. Da qui la richiesta urgente di un incontro chiarificatore.

Alla base dello scontro c’è il metodo adottato: un algoritmo di supporto decisionale – così lo definisce la presidenza del Consiglio – avrebbe determinato le linee guida della manovra. Ma per una parte dei ministri, ciò che dovrebbe essere un semplice strumento tecnico si è trasformato in un automatismo che ha messo da parte la politica. «Serve una visione, non una calcolatrice», è il grido che trapela da fonti di governo.

Il vertice d’urgenza convocato dalla premier non è solo un incontro tecnico, ma un passaggio politico cruciale. Si tenterà di ridare un’anima politica alla manovra, raccogliere le istanze dei territori e correggere almeno in parte un testo che ha lasciato fuori le priorità più sentite da diversi ministeri. L’obiettivo è uno solo: evitare che le tensioni interne si trasformino in una crisi conclamata o in un pericoloso logoramento.

Tra i più critici ci sarebbero esponenti della Lega e alcuni ministri vicini alle aree produttive del Nord, preoccupati per i tagli trasversali che penalizzerebbero piccole imprese, famiglie e amministrazioni locali. La loro posizione è netta: la manovra non può essere approvata senza una valutazione politica approfondita, che tenga conto delle ricadute concrete.

In risposta, la premier ha cercato di smorzare i toni, sottolineando che l’algoritmo è solo uno strumento e che «nessuna decisione è priva di filtro politico». Ma l’impressione è che si sia già aperta una crisi di metodo: un cortocircuito tra tecnocrazia e rappresentanza, tra logica dei conti e urgenze reali. Ed è proprio questo scollamento a preoccupare chi teme ripercussioni anche sull’immagine pubblica del governo.

Il tema non è più solo economico: è diventato profondamente politico. Il rischio è che la manovra 2025, da strumento di bilancio, si trasformi in un campo di battaglia interno. Ed è per questo che la premier ha bisogno di ricompattare subito l’esecutivo, prima che la sfiducia silenziosa si traduca in uno stallo legislativo o, peggio, in una crisi di governo. Il vertice odierno sarà quindi decisivo.

Nel frattempo, fuori da Palazzo Chigi cresce l’attesa. I mercati osservano con cautela, le opposizioni alzano i toni e l’opinione pubblica guarda al governo chiedendo stabilità. Una cosa è certa: la manovra 2025 si è già rivelata più di un testo contabile. È il primo vero banco di prova politico per una maggioranza che, ora più che mai, dovrà dimostrare di saper governare insieme.

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