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Difendere la democrazia o sopravvivere alla paura: l’Occidente davanti al suo specchio

Pubblicato: 20/10/2025 16:09

Forse le democrazie in cui viviamo si stanno lentamente disgregando. Secondo la dottrina realista delle relazioni internazionali, l’ordinamento interno di uno Stato riflette il contesto globale: se la politica estera è segnata da squilibri e tensioni, anche la vita istituzionale interna finisce per risentirne. Ma lo squilibrio è l’opposto della democrazia, che si fonda sull’equilibrio, sulla parità e sul bilanciamento dei poteri. Lo spaesamento che percepiamo oggi potrebbe allora essere il sintomo di un nuovo ordine mondiale ancora in costruzione.

Per decenni, l’assetto liberale ha retto agli urti della storia, difendendosi da qualunque minaccia esterna. Ma forse oggi non più. “Il liberalismo è un’idea superata”, ha dichiarato Vladimir Putin in un’intervista al Financial Times. Quel liberalismo che ha garantito crescita economica, progresso sociale e la stessa globalizzazione che ora ci spaventa, è oggi messo in discussione.

La libertà che teme la globalizzazione

La globalizzazione ha portato benessere. Dal 1989, anno della caduta del Muro di Berlino, il PIL mondiale è più che raddoppiato, l’export di merci è aumentato di otto volte e la povertà estrema è scesa dal 38% al 9%. Ma i rapporti di forza si sono capovolti: un tempo il 63% della ricchezza globale proveniva dalle economie industrializzate occidentali, oggi una parte crescente arriva dai Paesi emergenti.

Non è una sorpresa che la Cina abbia conosciuto uno sviluppo travolgente, diventando la seconda economia mondiale. I suoi risultati mettono in discussione l’egemonia occidentale e i capisaldi del liberismo, mostrando che il benessere non dipende necessariamente da un alto grado di libertà politica. Un dato che inquieta le democrazie, da sempre convinte che libertà e prosperità fossero indissolubilmente legate. Se una società può stare bene anche senza essere libera, a che cosa serve la libertà?

Il malcontento verso le istituzioni

È questa la domanda con cui le democrazie dovranno convivere nei prossimi anni. Come un virus, la nuova idea di efficienza autoritaria si è diffusa anche in Paesi che hanno “lottato per la libertà e la democrazia”, come gli Stati Uniti. L’assalto a Capitol Hill del 2021 è stato interpretato come il sintomo di una delusione profonda verso le istituzioni e l’establishment. Le due elezioni di Donald Trump sono il riflesso del malcontento civile verso la direzione intrapresa dalla politica e dall’economia globale.

C’è delusione, ma la democrazia va difesa. Per questo nascono nuovi dazi, si innalzano muri, si costruiscono cortine di ferro. In gioco non c’è solo la supremazia economica o militare, ma la difesa dei valori occidentali che hanno guidato il mondo libero per decenni. Anche l’Italia deve difendersi. Dal dopoguerra in poi, vive all’ombra della paura di nuovi autoritarismi, affidandosi a un vincolo esterno: prima l’America, poi l’Europa.

Gaber e la democrazia come scelta

“Io sono sempre stato democratico, non per scelta ma per nascita”. La frase di Giorgio Gaber racchiude in sé una parola chiave: scelta. È su questa che si regge l’albero della democrazia. Dal greco demos (popolo) e kratos (potere), significa letteralmente “potere al popolo”. Nelle democrazie moderne, questa libertà si manifesta nel voto: più ampia è la partecipazione, più solida è la democrazia.

Ma in Italia i numeri non incoraggiano. Alle regionali in Toscana ha votato appena il 50% degli elettori, in Calabria il 43%, nelle Marche il 50%, e all’ultimo referendum soltanto il 30,6%. Di nuovo, Gaber aveva ragione: libertà è partecipazione. Forse per questo oggi la democrazia appare fragile. Così fragile da spingerci ancora una volta a cercare fuori da noi la garanzia di giustizia e libertà. In un Paese dove, come diceva Gaber, “la libertà è alla portata di tutti, come una chitarra: ognuno suona come vuole; tutti suonano come vuole la libertà”.

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