Il video che da ieri incendia i social iraniani – quello del matrimonio della figlia di Ali Shamkhani, consigliere per la sicurezza della Guida Suprema – è stato raccontato come la prova dell’ipocrisia del regime, l’immagine di un’élite che si concede libertà negate alle donne comuni. Ma la realtà, per chi conosce l’Iran, è diversa e più sottile.
Dietro quel filmato non c’è la trasgressione di una regola, bensì la normalità dei matrimoni borghesi a Teheran. La scena che ha scandalizzato molti occidentali – la sposa in abito bianco con spalle scoperte e velo leggero – non si è svolta in pubblico, ma nella sala riservata alle donne, separata da quella degli uomini. In questi contesti, nei ricevimenti privati o negli hotel di lusso della capitale, è consuetudine che le donne si tolgano il velo e indossino abiti eleganti, proprio perché gli uomini non sono presenti, salvo eccezioni familiari come il padre o il marito.
Una normalità nascosta
Quello che per i social occidentali appare come una ribellione, per Teheran è un rito borghese consueto. Nei matrimoni delle classi agiate, le feste si svolgono da decenni in spazi separati: gli uomini in una sala, le donne in un’altra, dove si balla, si beve e ci si mostra come si vuole, senza velo. Il codice religioso non viene infranto, semplicemente viene sospeso dentro una frontiera privata.
Eppure il video ha fatto il giro del mondo perché diffuso fuori contesto, rilanciato da media dissidenti e oppositori del regime come simbolo di privilegio e doppia morale. È una lettura efficace sul piano politico, ma superficiale su quello culturale. La verità è che l’Iran vive da sempre in questa doppiezza, in un equilibrio instabile fra ciò che è permesso in pubblico e ciò che è tollerato in privato.
La contraddizione che l’Occidente non può ignorare
Svelare questa regola non significa accettarla. Che le donne debbano ritagliarsi libertà solo in spazi chiusi, dietro pareti e porte sigillate, è il segno più eloquente di una società che continua a separare i diritti dalla visibilità. Nella sala delle donne, la sposa può essere se stessa; fuori, torna l’obbligo dell’hijab e del silenzio. È una forma di libertà privata che si paga con la rinuncia alla libertà pubblica.
Per questo, anche se il video del matrimonio di Shamkhani non racconta un abuso ma un’abitudine, resta simbolico. Mostra come la normalità iraniana sia costruita sulla separazione dei mondi, e come la modernità sia costretta a vivere nascosta, clandestina, dentro i confini dell’intimità. La vera ipocrisia, forse, non è del regime ma del sistema culturale che lo sostiene, dove la libertà è concessa solo se invisibile.
Il video, così, non smaschera tanto un potere quanto una società intera: divisa, protetta, e prigioniera della propria consuetudine.