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“Chef Rubio andrà a processo”. Il clamoroso annuncio: cosa rischia e perché

Pubblicato: 21/10/2025 18:27

Un tempo noto al grande pubblico come volto televisivo e cuoco eccentrico, Gabriele Rubini, meglio conosciuto come Chef Rubio, è diventato negli ultimi anni una figura polarizzante nel dibattito pubblico. Alle luci della ribalta per il suo stile provocatorio e diretto si è affiancato un militante impegno politico, in particolare a sostegno della causa palestinese, sfociato più volte in prese di posizione estreme e attacchi personali verso esponenti politici, giornalisti e personaggi pubblici.

Tra i nomi finiti nel mirino dei suoi post social ci sono figure come la senatrice a vita Liliana Segre, la giornalista Cecilia Sala, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Tra questi anche il giornalista David Parenzo, che ha deciso di portare la vicenda in tribunale dopo una serie di messaggi che ha definito “violenti” e diffamatori. Ora, Chef Rubio è ufficialmente imputato per diffamazione aggravata.

Al centro dell’inchiesta giudiziaria c’è un tweet pubblicato il 12 ottobre 2023, pochi giorni dopo gli attacchi di Hamas in Israele. In quel post, Rubini rispondeva a un commento di Parenzo sul conflitto israelo-palestinese con toni fortemente accusatori, definendolo “suprematista odiatore antimusulmano, antiarabo e antisemita” e arrivando ad affermare: “Noi confermiamo che sostieni il terrorismo ebraico”. A corredo del messaggio, l’ex cuoco aveva allegato un articolo pubblicato dal giornalista riguardante le atrocità commesse da Hamas, tra cui la presunta decapitazione di bambini.

La Procura di Roma ha deciso di procedere, ritenendo che le parole usate da Rubini configurino una diffamazione aggravata per l’attribuzione di un fatto determinato, per l’uso di un social network con ampia diffusione e per la finalità di odio razziale e religioso. Nell’udienza svoltasi oggi, il primo a testimoniare è stato proprio David Parenzo, che ha spiegato come abbia preso coscienza della portata degli attacchi social ricevuti.

Parenzo ha dichiarato in aula: «Il post mi fu segnalato. Chef Rubio aveva già scritto di me in passato, ma dopo il 7 ottobre ha superato ogni limite. Mi sono sentito colpito nella mia identità». Ha aggiunto di essersi trovato oggetto di un’aggressione verbale “per il solo fatto di essere ebreo”, e che nel post veniva falsamente accusato di sostenere il terrorismo ebraico e di pubblicare notizie false, con un intento che ha definito “chiaramente discriminatorio“.

Il giornalista ha anche sottolineato come le parole utilizzate abbiano generato una scia di odio sui social, con utenti che hanno rilanciato gli attacchi e rafforzato la narrazione proposta da Rubini. Un’escalation che, secondo l’accusa, rafforza la gravità della condotta e conferma l’intento offensivo e discriminatorio alla base del post.

Rubini, da parte sua, non ha ancora deposto. La sua testimonianza e l’esame in aula sono previsti per la prossima udienza, fissata al 24 febbraio. In quell’occasione, l’imputato potrà chiarire il proprio punto di vista e difendere la legittimità delle sue dichiarazioni, probabilmente invocando la libertà di espressione e la critica politica come base delle sue affermazioni.

La vicenda riapre il dibattito sui limiti del linguaggio nei social media e sul confine tra libertà di parola e incitamento all’odio. Anche perché, in casi simili, il tribunale è chiamato a valutare non solo il contenuto letterale dei messaggi, ma anche il contesto in cui sono stati pubblicati e l’impatto che possono aver avuto sul pubblico.

In un clima sociale e politico sempre più polarizzato, il processo a Chef Rubio si carica di un valore simbolico importante: stabilire se l’attivismo digitale, quando assume toni accusatori e generalizzati, possa sconfinare nella diffamazione e nella discriminazione, o se rientri ancora nell’ambito della legittima opinione.

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