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“Un fesso”. Trump ridicolizzato, l’attacco dalla Russia che fa infuriare la Casa Bianca

Pubblicato: 21/10/2025 20:33

Durante una recente puntata del talk show serale su Rossiya-1, Vladimir Solovyov – noto come “la voce del Cremlino” – si è prodotto in una grottesca imitazione di Donald Trump, nel tentativo di ridicolizzarne la recente indecisione sull’invio di armi all’Ucraina. «Quando dici che “sto pensando” di mandare i missili Tomahawk», ha detto Solovyov cercando una goffa imitazione della voce dell’ex presidente Usa, «ma poi aggiungi che “prima devo parlarne con Putin”, non rafforzi certo la tua posizione». Lo studio ha riso. Ma dietro quella risata, c’è una strategia più complessa.

Nella Russia dove l’ironia politica è sempre stata sussurrata, la derisione pubblica di un leader straniero in prima serata rappresenta una novità. Non è più solo propaganda: è teatro. Ed è teatro con un obiettivo. Solovyov ha continuato: «Se vuoi essere un negoziatore credibile, prima mandi le armi, poi chiami l’oppositore e dici “ora parliamo”. Le guerre si decidono con i fatti, non con le parole». Un commento che, se isolato, potrebbe essere scambiato per critica interna americana. Ma nel contesto russo è un segnale molto preciso: Trump non è più utile. E dunque può essere ridicolizzato.

Altri talk show hanno seguito lo stesso copione. Olga Skabeeva, conduttrice della striscia quotidiana di propaganda, ha dato spazio a una barzelletta: Trump, incontrando Putin a Budapest, gli offre l’intera Ucraina e perfino l’Alaska in cambio della fine della guerra. Putin accetta ma domanda: «Tu che cosa mi dai in cambio?». Risate, applausi, sipario. Scene impensabili fino a poche settimane fa. Trump, fino a ieri trattato come l’anello di dialogo tra Russia e Occidente, oggi è diventato un pagliaccio da prima serata.

Cos’è cambiato? In parte, il tono della narrativa mediatica russa. Due mesi fa, l’incontro tra Trump e Putin in Alaska era stato presentato come una mossa strategica brillante, una dimostrazione del carisma del leader russo e della debolezza americana. Oggi, la versione di Budapest viene trattata come una farsa. Il messaggio è chiaro: Putin comanda, Trump obbedisce. E questo cambio di prospettiva riflette non solo il disprezzo, ma anche una nuova sicurezza propagandistica.

Il cambiamento di rotta mediatica sembra seguire la riunione del “Nuovo Mondo multipolare” a Pechino, dove Putin e Xi Jinping hanno rinsaldato un’alleanza strategica che rende meno necessaria la figura di Trump come “utile idiota” in Occidente. I media russi, che seguono con disciplina le direttive del Cremlino, ora sembrano sentirsi liberi di trattare Trump come un ostacolo più che come una risorsa.

In questo clima, le critiche a Trump vanno oltre la caricatura. I commentatori parlano apertamente di suoi limiti cognitivi, di confusione politica, di incapacità strategica. E ciò indica che qualcosa è cambiato nelle stanze del potere di Mosca: Trump non è più percepito come un potenziale alleato, ma come una pedina superata, forse addirittura dannosa nel gioco globale russo-cinese.

Tuttavia, dietro la comicità, si cela una possibile manovra diplomatica: ridicolizzare Trump potrebbe servire a rafforzare l’immagine di Putin come unico arbitro della pace, svincolato da pressioni americane. Se un cessate il fuoco arriverà, sarà dipinto non come frutto della diplomazia Usa, ma come gesto di magnanimità del Cremlino. In questa chiave, le barzellette contro Trump non sono solo sfottò, ma parte della narrazione strategica.

L’antiamericanismo rimane il collante emotivo della propaganda russa. Ridicolizzare Trump non significa assolvere Biden. Anzi, la Russia ora colpisce ogni volto del potere americano, rafforzando l’idea che il vero centro del mondo si sia spostato altrove. Il sarcasmo verso Trump serve allora non tanto a delegittimarlo, quanto a confermare la superiorità di Mosca sulla scena globale, anche nel modo in cui decide quando e con chi ridere.

Se la pace valesse davvero «qualche pernacchia russa a Trump», come ipotizza ironicamente un analista, allora Putin avrebbe già vinto sul piano della narrazione. Ma c’è da chiedersi quanto a lungo potrà reggere questa satira controllata, prima che gli sberleffi si rivolgerebbero – anche solo per sbaglio – verso chi muove davvero i fili del potere a Mosca.

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