
Dopo dodici anni di relazione fatta, secondo le sue accuse, di violenze fisiche e psicologiche, Rosita Gentile, fashion designer di 56 anni, ha deciso di denunciare l’ex compagno, Mario Gregoraci, per maltrattamenti e stalking. Una scelta difficile, maturata dopo anni di silenzi e ritorni, ma inevitabile. “Ho sperato fino all’ultimo che potesse cambiare”, racconta a Fanpage.it. “Ma le cose sono sempre peggiorate”.
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L’accusa è pesante e coinvolge non solo la dimensione personale, ma anche un nome noto nel panorama mediatico calabrese. Gregoraci, infatti, continua a presenziare a eventi pubblici nonostante su di lui penda un divieto di dimora a Soverato e Davoli. Per Rosita Gentile, invece, l’unico spazio possibile resta quello protetto di un centro antiviolenza. Un contrasto che ha alimentato una rabbia profonda: “Lui stappa champagne alle premiazioni, io continuo a dimagrire per l’angoscia”.
Dodici anni di silenzio e un’aggressione in strada
A far scattare la denuncia è stata una violenta aggressione in strada, avvenuta nel luglio del 2024. Due passanti, assistendo alla scena, hanno allertato i carabinieri e un’ambulanza. “Ero a terra e lui continuava a colpirmi. Quando quelle persone sono intervenute, ho capito che non poteva andare avanti così”, racconta Gentile. È stata portata in ospedale, poi in caserma. E lì ha deciso: basta silenzio.
“Fino a quel momento non avevo mai parlato”, ammette. “Anche perché ogni volta che finiva, tornavamo insieme. Ma ogni ritorno era peggiore del precedente. Avevo una speranza cieca che lui potesse cambiare. Invece ho solo trascinato il dolore, anche per mia figlia, che ha visto tutto questo”.

Il peso del cognome e il timore della visibilità
Nel suo racconto, Rosita Gentile non nasconde la difficoltà aggiuntiva di avere avuto un compagno mediaticamente esposto. “Mi accusano di cercare notorietà perché lui è conosciuto. Ma la verità è che la sua fama mi mette in ulteriore svantaggio. La sua famiglia ha sempre ostacolato la nostra relazione, non voleva che si sapesse di noi. Io sono sempre stata fuori dai riflettori, e oggi vorrei tornare semplicemente alla mia vita”.
Eppure, nonostante le misure cautelari, racconta di averlo incontrato più volte negli ultimi mesi. Anche in luoghi pubblici, come vicino a Soverato o addirittura all’interno del Comune. “L’ultima volta è stata mercoledì scorso. L’ho visto e sono scappata in auto. È assurdo che questo accada, ma purtroppo succede. Oggi non lotto solo contro una persona, ma contro un cognome che gli permette di vivere come se nulla fosse”.
La battaglia legale e l’udienza imminente
Il prossimo 5 novembre è fissata l’udienza preliminare per il procedimento per maltrattamenti. Dopo, si aprirà il processo. L’avvocato di Rosita Gentile, Fabio Tino, ha dichiarato che la sua assistita è stata ascoltata in sede di incidente probatorio, davanti al giudice e in contraddittorio con la difesa. “Non si è inventata nulla. Tutto quello che ha raccontato è documentato e presente agli atti. Le persone che la accusano di voler visibilità ignorano che c’è una misura cautelare in corso”, ha sottolineato il legale.
Tra le dichiarazioni più forti raccolte agli atti, anche quella in cui la donna afferma: “Sono stata picchiata e per questo ho subito un aborto”. Accuse gravi, su cui ora si pronuncerà la magistratura.

“Ora voglio aiutare altre donne”
Nonostante il trauma e la fatica, Gentile guarda avanti. “Voglio passare attraverso questa tempesta giudiziaria e poi riprendere in mano la mia vita. Sono una stilista, ho una mia attività, un lavoro che amo. Ma più di ogni altra cosa, vorrei che questa vicenda possa servire ad altre donne. Vorrei dire a chi vive quello che ho vissuto io: non aspettate dodici anni. Non sperate che cambi, se vi ha già fatto del male”.
Con il volto e il nome esposti, Rosita ha scelto di metterci la faccia. Una decisione sofferta ma, come lei stessa afferma, necessaria. “Non voglio più nascondermi. E se una sola donna leggendo la mia storia troverà il coraggio di denunciare, allora sarà valsa la pena”.
Una denuncia che chiama in causa le istituzioni
Il caso di Rosita Gentile solleva inevitabilmente questioni più ampie. Come è possibile che un uomo sottoposto a misura cautelare possa essere avvistato liberamente in luoghi pubblici? E perché, nonostante una testimonianza già raccolta in incidente probatorio, è ancora la vittima a dover giustificare il proprio gesto?
È una domanda che interroga non solo la giustizia, ma anche il sistema sociale e culturale che ancora oggi, troppo spesso, colpevolizza chi denuncia invece di proteggere chi è stata colpita.
Il processo e la speranza di una svolta
Con l’apertura del processo, la parola passa ora ai giudici. Per Rosita Gentile, sarà l’occasione di confermare davanti alla legge ciò che ha già dichiarato ai microfoni e ai carabinieri. Per l’Italia, un nuovo caso emblematico che mette a nudo la fragilità del sistema di protezione per le donne vittime di violenza.
E forse, anche un nuovo punto di partenza: “Voglio aiutare altre donne”, ribadisce. “Voglio che sappiano che non sono sole. E che uscire da quell’inferno è possibile. Anche se ci vogliono dodici anni per capirlo”.