
L’intervento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni alla Camera dei Deputati, in risposta alle comunicazioni in vista del Consiglio Europeo, ha toccato un nervo scoperto nel dibattito economico e politico italiano: l’origine dei notevoli dividendi bancari e il loro presunto legame con l’insufficienza di risorse per la legge di bilancio. La premier ha replicato al deputato del Movimento 5 Stelle, Riccardo Ricciardi, che aveva sollevato la questione degli extra-profitti bancari a fronte della scarsità di fondi governativi.
L’analisi della premier sui dividendi bancari
Meloni, pur ammettendo in linea di principio la possibilità che gli istituti di credito abbiano collezionato ingenti dividendi, e che le risorse per la manovra finanziaria non siano sufficienti, ha voluto ribaltare la prospettiva, spostando l’attenzione sulle cause di tale benessere bancario. Secondo la sua analisi, infatti, gran parte di questi profitti non deriverebbero da una gestione virtuosa o da politiche economiche del suo esecutivo, ma sarebbero la diretta conseguenza di due specifiche misure varate in precedenza. La premier ha in sostanza imputato alla precedente gestione, in particolare al M5s come forza trainante in quel periodo, la creazione delle condizioni che hanno permesso alle banche di generare profitti così elevati.
Il ruolo dei crediti fiscali del superbonus
Il primo dei due provvedimenti citati da Meloni è l’ormai celebre meccanismo dei crediti fiscali derivanti dal Superbonus. Questa misura, introdotta per incentivare la riqualificazione energetica e sismica del patrimonio immobiliare, ha generato un enorme volume di crediti di imposta cedibili a terzi. Le banche, in questo contesto, hanno giocato un ruolo cruciale, acquistando tali crediti dalle imprese e dai cittadini. L’acquisto di questi crediti fiscali da parte degli istituti di credito ha rappresentato per loro un’opportunità di notevole guadagno, sebbene l’impatto esatto sul totale degli utili sia un punto di dibattito tra gli analisti economici. Il meccanismo di cessione ha permesso alle banche di utilizzare questi crediti per compensare le proprie passività fiscali future, generando di fatto un vantaggio economico significativo e contribuendo così, secondo la tesi della premier, all’aumento dei dividendi distribuiti. Si tratta, in sostanza, di una controversa eredità finanziaria che, pur avendo avuto l’obiettivo di rilanciare l’edilizia, ha finito per incidere profondamente sui bilanci delle grandi istituzioni finanziarie.
La “potenza di fuoco” e la rinegoziazione dei prestiti
Il secondo pilastro su cui Meloni ha basato la sua argomentazione è stato la “famosa potenza di fuoco”, un’espressione che si riferisce all’insieme di misure che hanno consentito alle banche di rinegoziare i prestiti in essere, destinati a famiglie e imprese, grazie all’intervento di una garanzia dello Stato. Questo provvedimento, messo in atto in un periodo di crisi e incertezza economica, aveva lo scopo di sostenere la liquidità e prevenire il default di aziende e nuclei familiari. Tuttavia, dal punto di vista della premier, l’aver concesso agli istituti di credito la possibilità di ristrutturare i debiti con una copertura pubblica ha di fatto ridotto i rischi per le banche stesse, liberando risorse e aumentando la loro capacità di generare profitti. La garanzia statale ha agito come un cuscinetto protettivo, permettendo alle banche di operare in un contesto di maggiore sicurezza finanziaria e, di conseguenza, di accumulare maggiori utili da distribuire sotto forma di dividendi. L’accusa implicita è che tale intervento, pur necessario in un momento di emergenza, abbia finito per favorire eccessivamente il settore bancario a spese dello Stato e dei contribuenti, creando un ambiente in cui il rischio d’impresa è stato in parte socializzato.
Conclusioni politiche e finanziarie
La replica della premier Meloni si configura come un tentativo di decontestualizzare l’origine dei dividendi bancari dall’attuale manovra di bilancio, attribuendo la responsabilità delle condizioni di profitto del settore bancario a scelte politiche pregresse. L’intento è chiaro: rispondere all’attacco dell’opposizione (in questo caso il M5s, rappresentato da Ricciardi) che denuncia una presunta inazione del governo di fronte agli extra-profitti bancari, deviando la discussione sulle origini strutturali di questi guadagni, che affondano le radici in provvedimenti specifici del recente passato. In sostanza, l’alto livello di dividendi non sarebbe un fallimento della politica economica attuale, ma la conclusione logica e prevista di misure precedenti. Questo scontro dialettico in Parlamento evidenzia la complessità del rapporto tra politiche di incentivazione statale, il settore finanziario e l’impatto sulle casse pubbliche, rendendo la questione dei dividendi bancari un elemento centrale della contesa politica sull’equità e la sostenibilità delle scelte economiche nazionali.