
Si torna a parlare di confini. Non quelli tracciati sui documenti o nei negoziati, ma quelli reali, disegnati dal fango e dal fuoco della guerra. Nelle ultime settimane, tra Mosca e Kiev è riemersa con forza la questione della futura linea di demarcazione, un tema che era stato messo da parte durante i mesi più duri del conflitto, ma che ora torna centrale mentre le diplomazie, anche occidentali, si interrogano su come chiudere un conflitto ormai logorante per tutti.
Secondo le ultime ipotesi circolate negli ambienti internazionali, la Russia controllerebbe oggi circa un quinto del territorio ucraino. È su questa realtà, fatta di occupazioni militari e di frontiere mobili, che si basano le prime simulazioni grafiche di come potrebbe cambiare la geografia politica dell’Est Europa se la guerra si congelasse allo stato attuale.
Le zone contese e le ipotesi sul tavolo
Al centro delle proiezioni ci sono le regioni di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, già oggetto di annessione da parte di Mosca nel 2022 ma ancora segnate da combattimenti. In alcuni casi le forze russe controllano solo porzioni dei territori formalmente “annettti”, in altri – come nel Donbass – la situazione resta fluida e confusa. Sul piano simbolico e strategico, la Crimea resta invece il cuore della contesa, il punto da cui tutto ha avuto inizio e che difficilmente Kiev accetterebbe di perdere senza contropartite pesanti.

Dietro le mappe e le linee colorate c’è un’idea che inizia a farsi strada: quella di un possibile cessate il fuoco “negoziato”, una tregua che fissi provvisoriamente i confini sulla base del controllo attuale, lasciando aperta la questione del riconoscimento giuridico. In altre parole, una soluzione che non chiude davvero la guerra, ma la congela.
Le conseguenze politiche e strategiche
Per l’Ucraina, un simile scenario significherebbe rinunciare – almeno temporaneamente – all’obiettivo di ripristinare i confini del 1991, come previsto dalla Costituzione. Sarebbe una resa simbolica, difficilissima da accettare per la popolazione e per il governo di Zelensky, che ha sempre ribadito di non voler cedere un solo chilometro. Ma anche Mosca, dopo anni di isolamento e sanzioni, dovrebbe affrontare il peso economico e umano di territori devastati e ostili.
Sul fronte internazionale, un compromesso di questo tipo potrebbe ridurre la pressione militare sull’Europa e aprire la strada a una fase di stabilizzazione dell’area, ma avrebbe anche effetti dirompenti: sancire la vittoria di fatto di un’aggressione armata e creare un precedente pericoloso in altre regioni del mondo.
La ridefinizione dei confini, dunque, non è solo una questione cartografica. È il simbolo di un mondo che si sta ricalibrando sui rapporti di forza, più che sul diritto. E ogni linea tracciata su quella mappa – provvisoria o definitiva che sia – racconta una sconfitta collettiva: quella della diplomazia, della fiducia e dell’idea di sicurezza europea che la guerra ha ormai riscritto.