
Il silenzio è calato su Torino, la città che lo aveva formato e che lo aveva visto tornare, fedele alle radici e alla sobrietà che ne hanno sempre contraddistinto l’azione. L’annuncio ha squarciato l’ordinario tran tran di una giornata, portando con sé il peso di una scomparsa che non è solo personale, ma che riguarda un pezzo di storia economica e civile del Paese.
Il dolore per il lutto si mescola alla memoria di un intellettuale rigoroso, di un professore austero che ha saputo incidere profondamente nelle istituzioni senza mai cedere alla retorica, portando l’etica del dovere e della responsabilità fin dentro i meccanismi più complessi della finanza pubblica. La sua assenza lascia un vuoto incolmabile, ma l’eredità del suo rigore morale e intellettuale rimane come un faro per le generazioni che lo hanno conosciuto e per quelle che studieranno il suo impatto sulle riforme dello Stato.
Addio a Franco Reviglio
Franco Reviglio, figura centrale della finanza pubblica italiana del secondo Novecento, è deceduto a Torino all’età di 90 anni. Ex Ministro delle Finanze che legò il suo nome all’introduzione della ricevuta fiscale nella vita quotidiana degli italiani, fu anche un influente economista, professore universitario e riformatore dell’Eni. Intellettuale socialista, austero e rigoroso, ha ricoperto ruoli di grande rilievo, tra cui presidente e amministratore delegato dell’Eni, lasciando un’impronta profonda sia nell’accademia che nelle istituzioni. La sua visione poneva la responsabilità civile come presupposto essenziale per la tenuta dei conti pubblici, riassunta nel suo motto: “Se tutti pagano le tasse, le tasse si riducono“. Il suo contributo alla battaglia contro l’evasione fiscale lo ha reso noto come il “padre dello scontrino“, un tentativo di trasformare la fiscalità in una questione di equità sociale. I funerali si terranno sabato.
Il percorso accademico e l’impegno riformista
Nato a Torino il 3 febbraio 1935, discendente di un’antica famiglia nobiliare, Franco Reviglio iniziò il suo percorso formativo con una laurea in giurisprudenza presso l’Università di Torino. Il suo legame con l’ateneo sabaudo fu duraturo: fu prima assistente volontario dal 1964 e poi, dal 1968, professore ordinario di Scienza delle finanze, cattedra che mantenne per decenni, formando intere generazioni di economisti. La sua carriera accademica è stata arricchita da pubblicazioni fondamentali per lo studio dell’economia pubblica, tra cui spiccano “La finanza della sicurezza sociale” (Utet, 1969) e “La spesa pubblica. Conoscerla e riformarla” (Marsilio 2007).
Questi lavori lo hanno consacrato come uno dei principali interpreti italiani del pensiero economico riformista. Dopo un’esperienza giovanile a Washington, presso il Fondo Monetario Internazionale (1964-66), Reviglio portò in Italia un approccio analitico e rigoroso, capace di coniugare la disciplina dei conti con l’imperativo della giustizia sociale. Negli anni Settanta, questa competenza lo portò a collaborare come consulente con i ministeri del Bilancio e delle Finanze, preludio ai successivi incarichi di governo.
L’eredità al ministero delle finanze: il padre dello scontrino
L’apice della sua carriera politica diretta arrivò nel 1979, quando fu nominato Ministro delle Finanze nel governo presieduto da Francesco Cossiga, in un periodo storico complesso caratterizzato da elevata inflazione e marcate disuguaglianze sociali. Reviglio comprese che la lotta all’evasione fiscale richiedeva misure coraggiose che andassero oltre i meri aggiustamenti tecnici. La sua visione si tradusse nell’introduzione di provvedimenti che avrebbero profondamente inciso sulla vita quotidiana e sull’immaginario collettivo degli italiani.
Furono resi obbligatori il registratore di cassa e l’emissione della ricevuta fiscale (o scontrino), e fu istituito il controverso “libro rosso” degli evasori. Queste riforme, per la prima volta, coinvolsero direttamente i cittadini comuni e la categoria dei commercianti, attirando su di lui una fama di “moralizzatore delle tasse“, talvolta ironica, ma sempre rispettata. La motivazione profonda di queste scelte non era meramente punitiva, ma risiedeva nella convinzione che un patto fiscale trasparente e rispettato da tutti fosse il fondamento della democrazia economica.
Attorno a Reviglio si formò un gruppo di giovani e brillanti economisti, tra cui Giulio Tremonti, Domenico Siniscalco, Franco Bernabè e Alberto Meomartini, che i media ribattezzarono i “Reviglio boy“. Questo gruppo divenne un vero e proprio laboratorio di idee liberalsocialiste, influenzando significativamente le successive stagioni della politica economica italiana. Il suo mandato ministeriale si concluse nel 1981.
La guida dell’Eni e il rilancio internazionale
Dopo l’esperienza al Ministero delle Finanze, Franco Reviglio assunse la guida dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) dal 1983 al 1989, ricoprendo le cariche di presidente e amministratore delegato. Questi anni furono cruciali per il gruppo energetico, segnando il passaggio da un mero ente di Stato a una moderna impresa industriale proiettata a livello internazionale. Sotto la sua direzione, l’Eni visse un periodo di profonde ristrutturazioni, con la privatizzazione di alcune partecipate improduttive e un significativo rilancio sul piano globale. Reviglio non limitò la sua azione alla mera gestione aziendale: promosse la creazione della Fondazione Mattei e dell’Archivio Storico dell’Eni, testimoniando una visione industriale che riconosceva la stretta interconnessione tra economia, cultura e memoria storica.
Il ritorno alla politica e il ruolo di editorialista
Negli anni successivi, Reviglio tornò brevemente alla politica attiva. Fu eletto senatore per il Partito Socialista Italiano (Psi) nell’XI legislatura (1992-994) e chiamato a ricoprire l’incarico di Ministro del Bilancio e per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno nel governo Amato. Anche in questo periodo, segnato dalla crisi del debito pubblico e dagli scandali di Tangentopoli, il professore torinese mantenne il suo rigore come bussola etica e politica. Successivamente, tornò all’insegnamento universitario e assunse il ruolo di presidente e amministratore delegato dell’Azienda energetica metropolitana Torino Spa (2000-2006).
Oltre ai ruoli istituzionali, Reviglio fu un autorevole editorialista per alcune delle principali testate italiane, tra cui “Il Corriere della Sera“, “La Stampa“, “Il Sole 24 Ore“, “L’Espresso” e “Il Messaggero“. La sua capacità di tradurre in linguaggio limpido le complesse questioni della finanza pubblica permise al grande pubblico di accedere a dibattiti tecnici fondamentali. I suoi ultimi libri, come “Lo Stato imperfetto” (Rizzoli, 1996), “Come siamo entrati in Europa e perché potremmo uscirne” (Utet, 1998) e “Per restare in Europa. Ridurre l’evasione e riformare la spesa pubblica” (Utet, 2006), riflettono un pensiero indipendente e sempre focalizzato sulla necessità di responsabilità collettiva per garantire la stabilità e la giustizia economica dell’Italia nel contesto europeo e globale.
Un’etica al servizio dello stato
Chi ha conosciuto Franco Reviglio lo descrive come un uomo di grande riservatezza, dotato di una sottile ironia e di una notevole severità nei confronti di sé stesso più che verso gli altri. La sua personalità rifletteva l’eleganza sobria e austera tipica della sua generazione torinese, unendo la precisione del tecnico all’ardore civile del socialista riformista. Reviglio era fermamente convinto che non ci fossero scorciatoie nella gestione della cosa pubblica e sosteneva che l’economia, se ben governata, potesse essere considerata “un ramo dell’etica“. La sua scomparsa lascia il ricordo di un servitore dello Stato nel senso più completo e nobile del termine: un accademico, un ministro, un dirigente e un intellettuale che ha dedicato la sua vita alla ricerca di un’Italia più giusta e trasparente, a partire dalla fondamentale equità del patto fiscale.