
Ci sono storie di sport che lasciano a bocca aperta, increduli. A volte il destino sa essere avaro anche con chi ha toccato l’apice nella sua disciplina, ma non ha avuto altrettanta fortuna nella vita di tutti i giorni. Il pubblico si ricorda la gloria e la ribalta, ma non conosce ciò che accade dopo.
La parabola di un campione
Rimini è la città dove tutto è cominciato e dove tutto, in un certo senso, è andato avanti. Loris Stecca, ex campione del mondo dei pesi supergallo, ha 65 anni e un passato che sembra uscito da un romanzo pieno di colpi tremendi, dentro e fuori dal ring.
È lui il protagonista del docufilm “A luci spente” di Mattia Epifani, prodotto con il sostegno della Emilia-Romagna Film Commission e in collaborazione con Sky Documentaries. Dopo la presentazione al Biografilm Festival di Bologna, il film è arrivato al cinema Fulgor di Rimini, dove Stecca ha rivissuto la sua vita “senza filtri”.
“Dal tetto del mondo al carcere, ma la boxe mi ha salvato”
“La mia è una storia dalle stelle alle stalle”, racconta Stecca. “A 65 anni lavoro con una cooperativa sociale di Rimini, faccio il netturbino a Riccione, ma resto un combattente”. Un combattente vero, che nel 1985 portò l’Italia sul tetto del mondo sconfiggendo Leonardo Cruz a Milano.
Campione a soli 24 anni, è ancora oggi il più giovane italiano a vincere un titolo mondiale. Poi, la discesa: nel 2013 il carcere per tentato omicidio, la semilibertà nel 2017 e infine, nel 2022, la libertà. “Il mio avversario più duro? La rabbia. Non quella sul ring, quella dentro di me“.

Il fuoco non si è mai spento
Stecca ripercorre i momenti più intensi della carriera, dal debutto nel 1977 a Forlì – “vinsi il mio primo incontro salendo sul ring di nascosto” – fino ai successi in Italia e in Europa. Nel 1980 il passaggio tra i professionisti, nel 1984 la gloria mondiale.
Poi, la caduta improvvisa: un incidente nel 1989 vicino all’Arco d’Augusto, a Rimini, gli distrusse il ginocchio e chiuse la carriera. “Fu la fine di tutto. Dalle stelle alle stalle, davvero. Ma la boxe mi ha tenuto in vita“.
“Odio i monopattini, ma voglio ancora salire sul ring”
La rabbia, dice, è ancora lì: “Mi arrabbio per tutto, anche con i monopattini che sfrecciano a tutta velocità. L’altro giorno una lite con un ragazzo è quasi degenerata“. In carcere, racconta, parlava spesso di questa rabbia con una suora diventata sua amica: “Mi diceva sempre che dovevo smettere di fare la guerra con tutti“.
Eppure il fuoco non si è spento: “Oggi tornerei a combattere“, confessa. “La boxe è la mia vita. Ho criticato chi voleva salire sul ring a una certa età, ma ora che ci sono arrivato io, mi rimangio tutto“.
Un ritorno simbolico, “a luci spente”
Al cinema Fulgor, Stecca si è ritrovato di fronte a sé stesso, alle sue cadute e alle sue rinascite. “È un film che non nasconde nulla. Mi mostra com’ero, come sono, e come ho provato a rialzarmi“. In sala, tra gli spettatori, anche suo fratello Maurizio Stecca, anch’egli ex campione. Nessuna rivalità, solo rispetto e silenziosa complicità.
Dal titolo mondiale al lavoro di strada, dal carcere alla libertà: la parabola di Loris Stecca è quella di un uomo che non si è mai arreso. A luci spente, sì, ma con i pugni ancora stretti.