
Non è più solo dialettica, è strategia: Giorgia Meloni e Elly Schlein si attaccano non per abbattere l’avversaria, ma per tenerla viva, per farla restare ciò che serve a entrambe — un nemico migliore, riconoscibile, utile. Nella politica italiana, dove il consenso è mobile e la memoria corta, la forza si misura anche dalla qualità dell’avversario. Così Meloni e Schlein si alimentano a vicenda: ogni dichiarazione dell’una risveglia l’altra, ogni scontro fa tornare in primo piano la contrapposizione tra due mondi che si cercano per necessità più che per odio. È una partita di specchi, nella quale entrambe sanno che l’assenza dell’altra renderebbe fragile la propria identità.
La logica del nemico necessario
Meloni governa una destra che vuole apparire solida e rassicurante, ma ha bisogno di un volto progressista definito per ribadire la propria differenza. Schlein guida un’opposizione che non può permettersi di restare muta: il rischio è quello di scomparire, e l’unico modo per non farlo è alzare la voce contro chi rappresenta il potere. In questa dinamica, ogni parola pubblica diventa carburante politico. Quando Meloni ironizza sull’opposizione o evoca il ritorno delle sinistre radicali, offre alla segretaria del Pd la possibilità di reagire, di accendere la propria base, di dare senso al dissenso. Quando Schlein colpisce la premier denunciando derive autoritarie o scelte inique, restituisce all’avversaria il privilegio di incarnare l’ordine contro il caos, la stabilità contro la contestazione. È un rapporto di simbiosi politica, fondato sulla differenza ma legato dalla stessa esigenza: restare visibili.
Un duello utile ma rischioso
In fondo, entrambe hanno bisogno di un’ombra forte per sembrare luminose. Meloni sa che la sinistra senza voce favorirebbe l’astensione più della fiducia nel governo; Schlein sa che la destra senza limiti apparenti la priverebbe di un bersaglio credibile. Per questo si cercano, si stuzzicano, si provocano. La retorica degli opposti serve a galvanizzare i propri elettori e a polarizzare l’opinione pubblica. Ma la polarizzazione è un’arma a doppio taglio: consolida le identità, ma logora il confronto. Quando il nemico migliore diventa l’unico orizzonte, la politica smette di costruire per cominciare solo a reagire.
Il rischio è che lo scontro permanente sostituisca la visione. La destra di governo, così concentrata sul difendersi dall’attacco, perde la spinta progettuale che l’aveva portata al potere. L’opposizione, schiacciata sull’anti-melonismo, fatica a proporre un racconto alternativo del Paese. Eppure, nel gioco degli specchi, entrambe trovano il proprio equilibrio: la premier rafforza la sua immagine di leader solitaria e solida, la segretaria consolida il suo ruolo di volto moderno della sinistra.
Finché si parlerà dell’una in relazione all’altra, entrambe vinceranno. Ma se una delle due cadesse, anche l’altra rischierebbe di crollare per mancanza di un avversario all’altezza. È il paradosso della politica italiana di oggi: per restare forti bisogna tenere in vita il nemico.