
Crescono le tensioni nel governo e la manovra economica si trasforma in un terreno di scontro tra alleati. Quello che doveva essere un passaggio tecnico, da approvare in tempi rapidi e con una linea condivisa, si è invece rivelato un banco di prova per la tenuta della coalizione. Nelle ultime ore, tra le forze di maggioranza si respira un clima di nervosismo, con accuse incrociate e malumori che rischiano di compromettere l’equilibrio interno dell’esecutivo.
Il contrasto più evidente è quello tra Antonio Tajani e Matteo Salvini, due vicepremier che fino a pochi giorni fa mostravano una sintonia apparente ma che ora si trovano ai lati opposti di una frattura politica. La discussione è esplosa sulla gestione delle risorse e, in particolare, sui fondi destinati alle infrastrutture, ma il dissenso va ben oltre la singola questione: riguarda il metodo, la trasparenza e il peso dei partiti nella definizione delle priorità economiche.

Il caso della Metro C di Roma è stato la scintilla. Salvini ha denunciato il presunto taglio dei finanziamenti all’opera, parlando di “definanziamento inaccettabile”, mentre Tajani ha replicato criticando la comunicazione “fuori controllo” del collega e chiedendo un chiarimento immediato. Da lì, la polemica si è allargata, coinvolgendo anche altri temi caldi della manovra, come gli affitti brevi, le misure fiscali per le banche e la gestione dei dividendi pubblici.
All’interno di Forza Italia cresce l’irritazione per quella che viene percepita come una scarsa condivisione delle scelte economiche. I ministri azzurri chiedono di essere ascoltati e di non subire decisioni prese altrove. Dall’altra parte, la Lega ribadisce la necessità di mantenere la rotta e accusa gli alleati di voler rallentare i tempi. Nel mezzo, Fratelli d’Italia tenta di mantenere un profilo prudente, consapevole che ogni presa di posizione rischierebbe di spostare gli equilibri interni.

Il risultato è un governo attraversato da correnti di tensione e da una crescente competizione tra leader che guardano già alle prossime scadenze elettorali. Ognuno difende il proprio spazio politico e la propria visibilità, anche a costo di indebolire la compattezza della maggioranza. Il clima nel Consiglio dei ministri è diventato teso, con riunioni lunghe, interventi polemici e nervosismi sempre più evidenti.
Sul piano politico, la premier osserva con preoccupazione. La necessità di approvare la manovra in tempi stretti si scontra con l’urgenza di ricucire i rapporti tra gli alleati, evitando che lo scontro si trasformi in una crisi. Da Palazzo Chigi trapela irritazione per i toni usati pubblicamente, ma anche la consapevolezza che la dialettica interna è ormai difficile da contenere.
La partita si gioca anche sull’immagine del governo all’esterno. Le divisioni sulla manovra rischiano di minare la credibilità economica dell’Italia in un momento in cui l’Europa guarda con attenzione alle scelte di bilancio e agli impegni presi in sede comunitaria. Ogni segnale di instabilità interna può avere ripercussioni sui mercati e sulla fiducia degli investitori.
Intanto, nei gruppi parlamentari si moltiplicano le richieste di chiarimento e i timori per la tenuta della maggioranza. Gli alleati assicurano che la coalizione non è in pericolo, ma ammettono che il livello di confronto è diventato “più acceso del previsto”. Le prossime settimane saranno decisive per capire se si tratta di una crisi passeggera o dell’inizio di un logoramento politico destinato a durare.
In conclusione, la manovra che avrebbe dovuto rafforzare l’immagine di compattezza del governo si è trasformata in un test di sopravvivenza politica. Le divergenze tra Tajani e Salvini, le pressioni interne e la necessità di mantenere l’unità mettono alla prova la leadership dell’esecutivo. E mentre i lavori proseguono, resta l’impressione di un equilibrio sempre più fragile, sostenuto più dalla necessità del potere che da una reale condivisione di visione.


